Sono state settimane molto difficili sui mercati finanziari, travolti da un “sell-off” pauroso e ai danni sia delle azioni che di una buona parte delle stesse obbligazioni. A farne maggiormente le spese sono stati i bond “high yield” (HY), i cui rendimenti si sono mediamente quasi raddoppiati in poche sedute, puntando verso la doppia cifra. Gli spread si sono sostanzialmente allargati, sia rispetto ai titoli con rating “investment grade” (IG), sia rispetto ai Treasuries. In alcuni casi, questa divaricazione si è rivelata eclatante, non solo per l’entità, ma anche per la “qualità” formale dei titoli.
Crisi come opportunità, ecco tre bond di cui approfittare contro le turbolenze
Continental Resources è una compagnia petrolifera americana tra le più importanti e chiaramente sta accusando il colpo assestato dal crollo delle quotazioni del greggio fin sotto i 25 dollari al barile di questi ultimi giorni. La situazione per il comparto è diventata così grave, che in borsa il titolo ha perso quasi il 75% quest’anno, scendendo in appena un mese da un “price/earning” di 12,50 a uno di 4,4. Le sue obbligazioni non hanno avuto sorte migliore, anzi risultano al momento quelle ad avere accusato le peggiori performance all’interno del comparto IG. Un decimo di esso, pari a circa 65 miliardi di dollari in controvalore, offre ormai rendimenti di oltre il 10% superiori ai Treasuries di pari durata.
In pratica, esiste una porzione del mercato IG, che dagli investitori viene trattata come se fosse già “junk” o “spazzatura”. E proprio Continental Resources ce ne offre esempio. La compagnia ha dovuto tagliare del 55% a 1,2 miliardi di dollari gli investimenti e chiudere alcuni pozzi nel maxi-giacimento di Bakken e nell’Oklahoma, al fine di tagliare i costi medi di estrazione. Nel 2019, ha chiuso con un utile netto di 775,6 milioni e ricavi per 4,6 miliardi, mentre il debito a medio-lungo termine ammontava a 5,8 miliardi.
I bond IG trattati da HY
Il bond emesso in dollari, con scadenza 15 settembre 2022 e cedola 5% (ISIN: US212015AH47), offriva ieri il rendimento del 27,50%, oltre 27 punti in più del Treasury a 2 anni. Solamente fino ai primi giorni di marzo stava ancora al 5%, quotando alla pari. Ben più esplosiva la scadenza 14 aprile 2023 e cedola 4,50% (ISIN: US212015AL58), che rende il 50%. In meno di una settimana, il titolo è crollato di quasi il 60%. Infine, il bond gennaio 2028 e cedola 4,3750% (ISIN: USU21180AF87) rende intorno al 18%, quasi dimezzandosi di valore in poche sedute e trattando ieri in area 54,5 centesimi.
Dopo che il presidente Donald Trump ha annunciato giovedì sera che medierà tra Arabia Saudita e Russia in cerca di un accordo per impedire che le quotazioni del petrolio restino troppo basse a lungo, il comparto si è ripreso parzialmente in borsa. Le azioni Continental Resources subito dopo hanno guadagnato quasi il 16% e anche gli stessi bond hanno iniziato a segnalare un qualche accenno di ripresa. Per quanti fiutassero il rimbalzo, questo sarebbe un momento magico per entrare sul mercato e rastrellare obbligazioni della compagnia anche a meno della metà del loro valore di qualche settimana fa.
Per contro, il rischio di un declassamento a “junk” da parte di una o di entrambe le restanti agenzie di rating diventa elevato. Inoltre, molto difficile immaginare che i livelli di prezzo di inizio marzo vengano riagganciati da qui a breve, sebbene le speranze si concentreranno proprio sull’opera di mediazione della Casa Bianca, che sui sauditi ha una forte leva. E Trump è già in pressing per ottenere dal principe Mohammed bin Salman che Aramco non aumenti la produzione. Per azioni e obbligazioni petrolifere, un potenziale toccasana.
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