Ordini per circa 40 miliardi di dollari per il bond di Aramco, la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita e che dovrebbe essere collocato in sei tranche per complessivi almeno 10 miliardi, anche se non si esclude che si possa arrivare a 15, specie considerando il grande successo che il debutto sul mercato obbligazionario della società sta riscuotendo. Stamattina, parlando a un evento a Riad, il ministro dell’Energia, Khalid al-Falih, aveva parlato di una domanda “superiore ai 30 miliardi” e già nei giorni scorsi, dopo il “roadshow” dagli USA a Singapore, gli analisti si erano sbilanciati a prevedere richieste per un multiplo dell’importo offerto.
obbligazioni a 3 anni a tasso fisso: Treasury 3 anni + circa 75 punti base;
obbligazioni a 3 anni a tasso variabile: Libor + equivalente;
obbligazioni a 5 anni a tasso fisso: Treasury a 5 anni + 95 punti base;
obbligazioni a 10 anni a tasso fisso: Treasury a 10 anni + 125 punti base;
obbligazioni a 20 anni a tasso fisso: Treasury a 20 anni + 160 punti base;
obbligazioni a 30 anni a tasso fisso: Treasury a 30 anni + 175 punti base.
Tenendo conto dei rendimenti attuali dei titoli USA lungo l’intera curva delle scadenze, otteniamo che il triennale a tasso fisso offrirebbe poco più del 3%, quello a 5 anni in area 3,30%, il decennale circa il 3,75%, il ventennale attorno al 4,3% e il trentennale sul 4,65%. Quanto al triennale con tasso variabile, alle attuali condizioni del mercato si aggirerebbe sul 4,8%. Dai primi riscontri, pare che gli investitori domestici siano più concentrati sulle brevi scadenze, mentre americani e taiwanesi sulle lunghe. Ricordiamo che Aramco ha appena ottenuto l’assegnazione dei rating da parte delle agenzie Moody’s e Fitch e rispettivamente pari ad “A1” e “A+”, in entrambi i casi il quinto gradino della scala dei giudizi.
Obbligazioni del gigante del petrolio, ecco numeri e rischi di Aramco
Record di bond emergenti emessi quest’anno
La chiusura dell’operazione è attesa per mercoledì, stando sempre ad al-Falih. I proventi sarebbero destinati all’acquisizione del 70% di SABIC, altro colosso saudita attivo nel settore petrolchimico e controllato dallo stato. La quota sarà pagata da Aramco ben 69,1 miliardi di dollari, entrate che finiranno nelle casse di PIF, il fondo pubblico di Riad, che potrà utilizzarle per procedere con la diversificazione dell’economia domestica, ancora troppo legata al petrolio, secondo la “Vision 2030” del principe Mohammed bin Salman, svelata nella primavera di tre anni fa. Il piano di riforme prevede anche la parziale privatizzazione della compagnia petrolifera, con una IPO relativa al 5% del capitale da effettuare entro il 2021, stando all’ultimo rinvio deciso dalle autorità. Nelle intenzioni del regno, la quotazione in borsa su 2-3 borse, di cui un paio straniere, dovrebbe fruttare 100 miliardi, capitalizzando l’intera società sui 2.000 miliardi, un valore considerato eccessivo praticamente da tutti gli analisti, pur a fronte di un utile netto da 111 miliardi e di un Ebitda da 224 miliardi, stando al prospetto informativo pubblicato nei giorni scorsi, in attesa del lancio del bond.
A gennaio, anche l’Arabia Saudita aveva emesso un bond da 7,5 miliardi, attirando richieste per 27 miliardi, cioè per 3,6 volte superiori. E il confinante Qatar, pur in rotta di collisione con i vicini capeggiati da Riad, è riuscito nell’impresa di raccogliere capitali per 12 miliardi, raccogliendo ordini per ben 50 miliardi. E dall’inizio dell’anno, l’Egitto ha emesso bond per 22 miliardi di dollari, liquidità preziosa per potere ripagare gli aiuti da 12 miliardi erogati dal Fondo Monetario Internazionale.
Oltre ai numeri finanziari societari molto solidi, è probabile che stia concorrendo al successo della prima emissione di Aramco anche la risalita delle quotazioni del petrolio sopra i 70 dollari al barile per la prima volta da 4 mesi, proprio in queste ore. E Riad ha fatto presente che maggio sarebbe il momento decisivo per estendere il secondo taglio della produzione, deciso dall’OPEC nel novembre scorso. Sul tema, tuttavia, peserà la posizione della Russia, con un alto funzionario e a capo del fondo sovrano per gli investimenti diretti, tale Kirill Dmitriev, ad avere fatto presente che da giugno, ove le condizioni lo consentissero, Mosca dovrebbe alzare la produzione di greggio. L’uomo è stato un difensore dell’accordo con l’OPEC per tagliare l’offerta, ma ritiene che adesso la crisi delle quotazioni sia alle spalle e che il mercato sia tornato in equilibrio.
Aramco, prima emissione di bond e arrivano i rating di Fitch e Moody’s