Quando nel 2017 l’Argentina sorprese il mercato con l’emissione di un bond a 100 anni, giustamente in tanti tra gli investitori si chiesero se valesse la pena di buttarsi nell’affare. Fu il primo caso di titolo centenario con rating “junk”. Non andò bene, infatti. Soltanto un anno dopo Buenos Aires veniva travolta dalla tempesta finanziaria e nel 2020 fu costretta alla ristrutturazione del debito dopo il nono default della sua storia, il terzo degli anni Duemila. Prima di uscire di scena, i bond argentini a 100 anni si compravano per appena 40 centesimi di dollaro, malgrado l’alta cedola per il tempo del 7,125%.
Ristrutturazione del debito nel 2020
La ristrutturazione del 2020 riguardo debito estero per 65 miliardi di dollari. Comportò la riduzione del 54,8% del valore netto attualizzato, attraverso un taglio del valore nominale del 5,5% e l’abbassamento della cedola media ponderata dal 7% al 2,3% dopo un periodo di grazia di 3 anni. I risparmi attesi nel primo decennio ammontano per Buenos Aires a 37,7 miliardi. A seguito di tale operazione, i bond argentini denominati in valute straniere fino ad allora emessi furono rimpiazzati da 12 nuove scadenze, di cui 6 in dollari e 6 in euro per gli anni seguenti: 2029, 2030, 2035, 2038, 2041 e 2046.
Dal 2020 ad oggi l’Argentina ha cambiato volto. I peronisti hanno perso il governo e persino il controllo del Congresso dopo diversi decenni. Alla presidenza è arrivato l’outsider Javier Milei, che si autodefinisce “anarco-capitalista“. Nel suo primo anno di mandato è riuscito a chiudere il bilancio in attivo e di abbattere l’inflazione mensile dal 25% ereditato a poco più del 2%. L’austerità è stata imposta e rispettata senza tentennamenti.
E questa settimana il ministro dell’Economia, Luis Caputo, ha annunciato che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) “nelle prossime settimane” voterà per approvare un nuovo piano di aiuti da 20 miliardi di dollari.
Boom per scadenze in dollari ed euro
Da quando Milei è entrato a Casa Rosada, i bond argentini si sono impennati sui mercati. Pur restando ad alto rischio di credito, gli investitori guardano con favore alla svolta di politica economica perseguita dall’attuale governo. A dispetto di quanti temono anche solo di avvicinarsi al mercato sovrano argentino, i guadagni realizzati da chi vi ha riposto fiducia sono stati eclatanti. Prendiamo la scadenza in dollari del 9 luglio 2046 con cedola 4,125% (ISIN: US040114HW38). Pur essendo stata emessa alla pari, il mercato l’ha subito prezzata a forte sconto. Il debutto avvenne intorno ai 43 centesimi di dollaro. Praticamente, per 430 dollari un investitore si portò a casa bond argentini dal valore nominale di 1.000 dollari e che staccano cedole annuali per 41,25 dollari lordi.
Il rendimento annuale derivante dall’incasso delle sole cedole è stato, quindi, del 9,50%. Ad esso si aggiunge oggi la possibilità di rivendere a prezzi decisamente più alti: 63 centesimi. Dunque, il solo guadagno in conto capitale o plusvalenza sarebbe di oltre il 45%. Sommandovi le cedole incassate per oltre 4 anni e mezzo, siamo a un rendimento complessivo vicino al 90%.
La scadenza in euro sempre del 2046 (ISIN: XS2177365520) ha fatto ancora meglio. Quotava ad appena 33 centesimi nel settembre del 2020, mentre oggi sfiora gli 80 centesimi. Plusvalenza teorica prossima all’80%. E la cedola del 3,75% ha offerto un guadagno effettivo complessivo superiore al 50% in questi anni. Totale: oltre il 130% di rendimento lordo.
Bond argentini improbabile manna dal cielo
Nessuno probabile si sarebbe aspettato tanta manna dal cielo dai bond argentini. Uno stato che in poco più di due secoli di storia non onora i debiti per ben nove volte, meriterebbe altro che non la fila degli investitori stranieri. Ma l’approccio al business è meno rigido di quanto pensiamo. Se il mercato fiuta opportunità di guadagno, non mette la storia passata dinnanzi al possibile lucro. Ciò non toglie che essa pesi e si traduca in alti interessi da corrispondere agli obbligazionisti. Né l’Argentina ha riacquistato l’accesso ai mercati finanziari. Lo farà verosimilmente a breve, dopo che l’FMI avrà rinnovato la sua fiducia con un ennesimo maxi-prestito. E ancora una volta il rischio si chiama euforia. Tutti contenti di Milei, ma i cicli politici finiscono e i debiti restano. Si spera solo che stavolta sarà diverso.
giuseppe.timpone@investireoggi.it