Quando investire a casa diventa complicato, bisogna mettere il naso fuori. E con rendimenti sottozero lungo gran parte delle scadenze, non resta che uscire dall’Eurozona per sperare di ricavare valore. Ma nel resto d’Europa non va meglio, mentre anche gli USA esitano rendimenti calanti e il Giappone è stato là dove tutta questa anomalia dei tassi nulli è iniziata. Restano i mercati emergenti, che si mostrano ben più remunerativi e al tempo stesso rischiosi. Una soluzione di compromesso sarebbe di optare per obbligazioni in valute emergenti, ma emesse da entità affidabili sotto il profilo creditizio.
E ce n’è uno tra i suoi bond di particolare interesse: quello con scadenze nel febbraio 2022, cedola 6,75% e denominato in rubli russi (ISIN: XS1947924921). Attualmente, prezza sopra la pari a 102,80, offrendo così un rendimento alla scadenza del 5,43%. Se lo confrontiamo con le obbligazioni di stato della Russia, notiamo come queste offrano oggi qualcosa come circa il 6,70%, circa 125-130 punti base in più. E’ il riflesso del più basso rating di cui gode Mosca, pari a “BBB-” per Standard & Poor’s e a “BBB” per Fitch. Dunque, la Russia è un’economia emergente appena “investment grade”, mentre la BEI risulta massimamente affidabile.
Detto ciò, lo spread tra il bond BEI e il Bund di pari scadenza emesso dalla Germania, altra entità con rating tripla “A”, risulta di poco sopra i 620 punti base contro i 745-750 dello spread Germania-Russia, per cui il rischio di credito segnalato vale appena un sesto del rendimento sovrano moscovita a 3 anni. Questo significa che il grosso del rischio percepito è dovuto al cambio. Il rublo ha guadagnato contro l’euro l’11,6% quest’anno, a fronte del 19% messo a segno dal Brent.
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Legame tra rublo e petrolio non scontato
Eppure, nella settimana tra il 9 e il 16 settembre, quando il greggio ha segnato un rialzo di quasi il 10%, il bond BEI ha ripiegato di quasi l’1%, pur a fronte di un +2,8% del rublo contro l’euro. Questo trend apparentemente in contrasto con i fondamentali ci permette di compiere una valutazione più approfondita sul rischio di cambio delle obbligazioni in rubli, legato all’andamento del petrolio. Vero che più esso rincara e più alti sarebbero i guadagni del rublo, ma allo stesso tempo il surriscaldamento delle quotazioni petrolifere riduce il grado di accomodamento monetario della BCE, in quanto impatta al rialzo sui prezzi al consumo nell’Eurozona. E se questo accade, i tassi nell’area salgono prima delle attese, rafforzando l’euro.
In definitiva, la correlazione positiva tra Brent e rublo spinge al rialzo le quotazioni delle obbligazioni in rubli solo fino a un certo punto, superato il quale finisce per deprimerle. In relazione al bond BEI 2022 di cui sopra, appare difficile che il greggio rincari in così poco tempo (mancano meno di due anni e mezzo alla scadenza) e a tal punto da alimentare le aspettative d’inflazione nell’area, al netto di eventuali tensioni geopolitiche, come quelle che si sono verificate nei giorni scorsi e che risultano in sé imprevedibili.
L’economia mondiale viaggia verso una stagnazione, per cui i consumi di petrolio (e i prezzi) ne risentiranno negativamente, anche se con ogni probabilità non tale da deprimere una valuta emergente come il rublo.