È in corso una fase di stretta monetaria in tutto il mondo. Non si tratta di un fenomeno improvviso, bensì di un processo prolungato e sbilanciato. Comunque è iniziato, e cambierà il rapporto tra rischio e rendimento. Gli strumenti di più alta qualità producono yield più elevati. Questo fenomeno mette sotto pressione gli strumenti più esposti al rischio. I più rischiosi (bond) sono quelli emessi da organismi fortemente indebitati.
Non ci sorprende dunque che i premi per il rischio stiano salendo – osserva Chris Iggo, CIO Obbligazionario, AXA Investment Managers.
Rischio e rendimento: cosa cambia
La decisione di investire in uno strumento finanziario dipende, in ultima analisi, dalla valutazione del rendimento previsto in rapporto al rischio potenziale. Il rendimento previsto dipende dalla valutazione corrente e dal fatto che, agli occhi dell’investitore, tale valutazione rappresenti o meno una remunerazione equa rispetto al rischio assunto. Il prezzo dello strumento in questione viene allora definito conveniente, equo oppure costoso. Naturalmente ogni strumento preso in considerazione non viene valutato solamente di per sé, ma anche in rapporto a opportunità di investimento alternative. Ciò che rende così interessante l’attività di investimento nei mercati finanziari è che tali fattori di rischio e rendimento previsti cambino continuamente.
Quello che poteva sembrare un prezzo equo per uno strumento un mese fa, oggi potrebbe non esserlo se i fondamentali sembrano diversi, oppure se il rendimento previsto su altri strumenti alternativi è salito o se, al contrario, è sceso. Ci troviamo in una fase in cui sia le valutazioni relative che i rischi si stanno evolvendo abbastanza rapidamente – prosegue Iggo -.
La differenziazione del rischio di credito
È iniziato un processo di differenziazione basato sulle valutazioni relative in rapporto al rischio. L’aumento dei tassi risk free incrementa il rendimento adeguato al rischio degli strumenti di alta qualità, pertanto anche gli strumenti più esposti al rischio devono offrire rendimenti più elevati. Il processo di adeguamento influenza anche i rischi. Quando un emittente fortemente indebitato si trova di fronte a un aumento dei tassi di mercato, si assiste anche a un aumento del rapporto tra servizio del debito e reddito, si attinge alle riserve di liquidità e si indebolisce la situazione patrimoniale. Un incremento del costo di finanziamento genera rischi di credito maggiori che, a loro volta, fanno salire il costo del finanziamento stesso. Si tratta di un circolo vizioso che spesso è difficile da interrompere. Si potrebbe dire che i recenti problemi con alcuni mercati emergenti e, in Europa, con l’Italia sono l’esempio del repricing del rendimento previsto rispetto al rischio in un contesto caratterizzato dalla stretta monetaria globale.
Più stretta
Possiamo dire – prosegue Iggo – che la stretta c’è stata negli Stati Uniti, mentre l’Europa si è fatta meno accomodante. Col tempo la stretta potrebbe accelerare se la Federal Reserve rispetterà le previsioni di alcuni economisti con altri 7-8 rialzi dei tassi prima della fine del prossimo anno, e se la Banca centrale europea (BCE) chiuderà il Quantitative Easing e alzerà il tasso sui depositi nell’arco del medesimo periodo.
USA contro Europa
Infatti, il rapporto tra i titoli decennali italiani e i Treasury a 2 anni è un esempio interessante del modo in cui il rendimento può differire dallo yield in particolare nel breve termine, segmento in cui operano numerosi gestori attivi. Un investitore in euro che ha acquistato titoli USA a 2 anni alla fine dello scorso anno e coperto il rischio di cambio, ad oggi avrebbe ottenuto un rendimento complessivo di circa il -1,95%. Acquistando titoli di Stato italiani a 10 anni nello stesso periodo avrebbe ottenuto un rendimento complessivo del -5,7%. Quando le obbligazioni sono care, i tassi risk free salgono e i fondamentali molto positivi sono già stati scontati, la classica strategia a reddito fisso è quella di puntare sulla relativa conservazione del capitale. Il costo di copertura delle obbligazioni USA per gli investitori europei potrebbe sembrare alto, ma la priceaction potrebbe favorire il mercato statunitense in quanto l’exit strategypiù lenta della BCE consente di scontare il rischio politico e di interesse a livello più fondamentale nell’Eurozona.
Premio più alto per il rischio in Italia
Secondo il World Economic Report del Fondo monetario internazionale dell’aprile 2018, nel corso dell’anno l’Italia dovrebbe avere un rapporto tra debito pubblico lordo e Pil del 130%. Tuttavia, dato che i fondamentali del periodo 2011-2012 in genere sono migliorati (crescita, deficit di bilancio primario, qualche tentativo di riforma, costo di raccolta ridotto), la maggior parte delle stime indica un rapporto tra debito e Pil in diminuzione.
In questa fase, il rischio che l’Italia esca dell’Eurozona è basso, pertanto il debito italiano dovrebbe continuare a beneficiare del put della BCE. Il rischio di ridenominazione e quello di insolvenza sono ancora remoti, ancor più che nel 2012. La conclusione è che il recente repricing del rischio italiano riflette l’incertezza politica che potrebbe avviare una fase di tensione sia internamente (come abbiamo visto durante la scorsa settimana circa), sia esternamente tra il governo del Paese e le istituzioni europee. Dunque – conclude Iggo – un range di 200-250 p.b. sui Bund tedeschi mi sembrerebbe più appropriato rispetto al range di 100-200 p.b. che abbiamo visto dal 2014. A fronte dell’appiattimento della curva dei rendimenti in Italia durante le ultime due settimane, sarebbe meglio rientrare nella posizione long sullo spread nel segmento a breve termine della curva.