Il nuovo calo dei rendimenti sovrani sui mercati avanzati è diventata una buona notizia anche per il resto delle economie. Ce ne offre conferma l’emissione di un bond emergente in Africa, nello specifico del Ruanda. Il paese ha raccolto 620 milioni di dollari attraverso una nuova scadenza a 10 anni. Poco prima, l’agenzia Fitch aveva assegnato al titolo il rating B, quattro gradini sotto il più basso livello di “investment grade”.
Per il Ruanda si è trattato della seconda operazione del genere nella sua storia.
Bond emergente di forte impatto per il Ruanda
I 620 milioni di dollari raccolti possono sembrare pochi, ma consentiranno già di per sé al bond emergente di essere inserito in uno degli indici internazionali, avendo superato la dimensione “benchmark” minima dei 500 milioni. E se si rapportassero al PIL domestico, sarebbero circa il 6%. Come se l’Italia con un’unica emissione raccogliesse sui mercati qualcosa come circa 100 miliardi. Ad essersi occupate dell’operazione sono state Deutsche Bank e Citigroup.
Poco più della metà della raccolta è destinata a rimborsare il debito in scadenza nel 2023, il resto per sostenere l’economia. Questa è stata colpita dalla pandemia, considerato che il Ruanda negli ultimi anni sia diventata una meta turistica di tutto rispetto. E la capitale Kigali è stata trasformata in un centro d’affari. Secondo Fitch, però, se il paese non sarà in grado di mantenere il rapporto debito/PIL al 70%, saranno probabili declassamenti del rating.
Questo bond emergente pone obiettivamente alcuni rischi. A parte quello relativo al tasso di cambio, essendo denominato in dollari USA, come sottovalutare l’impatto del Covid sull’afflusso di valuta estera? Ripiegando il turismo, che incide per il 15% del PIL, il Ruanda si ritrova con minori risorse da utilizzare per il rimborso dei debiti contratti con l’estero. Detto questo, bisogna anche aggiungere che buona parte del debito sovrano si ha nei confronti di banche e istituzioni internazionali, tipicamente più flessibili degli obbligazionisti.