Nei primi nove mesi di quest’anno, le emissioni di bond ESG (Environmental, Social and Governance) sono aumentate ad oltre 800 miliardi di dollari. Entro la fine di dicembre, il loro controvalore globale dovrebbe superare i 1.000 miliardi. Di questi, 475 miliardi sono state 1.600 emissioni green. Da quando questo segmento di mercato ha iniziato ad offrire titoli agli investitori, le emissioni sono state pari a circa 5.000 miliardi. Pur rimanendo minoritario, vanta numeri di tutto rispetto e ad alta crescita. L’anno migliore fu il 2021, quando a seguito della pandemia furono emessi quasi 1.200 miliardi.
L’elezione di Donald Trump, però, può porre un freno alla crescita del mercato dei bond ESG. Anzitutto, di cosa parliamo con esattezza? Sono titoli obbligazionari dal funzionamento del tutto simile a quello delle obbligazioni classiche. Ma in questi casi, i fondi raccolti dagli emittenti (banche, società e governi) sono vincolati all’impiego in attività a favore di ambiente e tematiche sociali. Non esiste un vincolo giuridico, nel senso che gli emittenti possono utilizzare i capitali raccolti anche per finalità generali e persino in diretto contrasto con quelle indicate nei prospetti informativi. Tuttavia, nel caso dei privati si impegnano eventualmente ad aumentare le cedole agli obbligazionisti nel caso di mancato raggiungimento dei target, certificato da enti indipendenti. I governi, invece, neanche si pongono nell’ottica di alzare la cedola se infrangono i loro stessi obiettivi.
Da tempo si parla di bolla dei bond ESG e di “greenwashing“ con riferimento alle emissioni verdi. Insomma, ci sarebbe un’ipocrisia di fondo in questo segmento del mercato. Con Trump la sua crescita si può arrestare o almeno frenare. Un esempio lo offre l’Europa stessa. Il presidente eletto chiede agli alleati della Nato di aumentare le spese militari al 2% del Pil. I governi dispongono di scarsi margini nei conti pubblici, ma il potenziamento del settore della difesa europeo è considerato imprescindibile, Trump o meno.
Proposta su allentamento criteri ESG
Ed ecco che in questi giorni l’eurodeputata di Fratelli d’Italia, Elena Donazzan, propone di allentare la regolamentazione per le banche. In pratica, che venga loro consentito di erogare prestiti anche a società legate alle armi senza per questo infrangere necessariamente i criteri ESG. Gli emittenti che li seguono, sono tenuti ad escludere dalla platea dei clienti tra gli altri coloro che fanno business in settori inquinanti come il petrolio, le estrazioni minerarie, le armi, il tabacco, ecc.
Cosa comporta l’infrazione dei criteri ESG? L’assegnazione di bassi rating da parte delle agenzie internazionali. E questo può nuocere alla fiducia che il mercato ripone nell’emittente. Un problema, vista la crescente sensibilità verso questi temi tra gli investitori. Senza una revisione della regolamentazione in materia, le emissioni di bond ESG potrebbero subire un contraccolpo o, al contrario, aumentare nei prossimi anni. Se alle banche venissero rimossi i divieti di finanziare l’industria delle armi, potrebbero fare affari in entrambi i mercati. Molti istituti che finora non hanno potuto emettere o hanno dovuto limitare le emissioni di bond ESG, finalmente si ritroverebbero nella condizione di farlo senza violare formalmente le nuove regole.
Bond ESG, minori emissioni con criteri invariati?
Il contraccolpo arriverebbe nel caso opposto in cui i criteri restassero invariati, perché molte banche potrebbero trovare più conveniente finanziare il settore della difesa bisognoso di investimenti. C’è anche da dire che la gran parte delle emissioni di bond ESG si hanno tramite i governi. Essi hanno inciso al 30 settembre di quest’anno per il 45% del mercato green e l’80% di quello sostenibile. Numeri che dimostrano quanto i privati ritengano poco proficuo rinunciare a fare affari in svariati settori sull’onda di un’ipocrisia mediatica.