Il rendimento dei bond sovrani giapponesi della durata decennale è salito fino allo 0,9770% nella seduta di questo lunedì, già conclusasi a Tokyo per ragioni di fuso orario. Si tratta del livello più alto dal 2013, quando l’Abenomics muoveva i primi passi. Era così chiamata la politica economica dell’allora premier Shinzo Abe, morto tragicamente nel luglio del 2022 per mano di uno squilibrato durante un comizio elettorale. Essa prevedeva il risanamento fiscale e riforme macroeconomiche da un lato, nonché l’estremo allentamento monetario dall’altro ad opera del governatore Haruhiko Kuroda.
Cambio al collasso da due anni
A marzo, l’attuale governatore Kazuo Ueda ha alzato i tassi di interesse da -0,10% a 0-0,10%, ponendo fine alla lunga fase dei tassi negativi. L’inflazione nel Paese è risalita sopra il target, anche se perlopiù a causa del crollo del cambio. Pur in recupero dai massimi, dopo l’intervento della Banca del Giappone, lo yen perde quest’anno il 9,4% contro il dollaro. Dalla fine del 2021 il collasso è stato del 26%.
Aumento dei tassi per sostenere lo yen
Per i bond giapponesi a 10 anni il rendimento massimo consentito dalle autorità monetarie è dell’1%, raddoppiato lo scorso anno dopo che era stato raddoppiato dallo 0,25% alla fine del 2022. Dall’inizio di quest’anno, segna una crescita dello 0,35%. Ueda sta consentendo ai titoli di stato di tendere al rendimento-limite per risollevare le sorti dello yen, fortemente colpito dal cosiddetto “carry trade“. Questo consiste nel prendere a prestito denaro in un’economia in cui i tassi sono bassi, al fine di investire laddove sono alti. I capitali partono, quindi, da Tokyo per affluire in destinazioni come Europa e Stati Uniti. Il Treasury decennale offre al momento oltre il 4,40%.
Il mercato sconta con probabilità crescenti che Ueda alzi ancora i tassi entro luglio.
Bond giapponesi restano poco appetibili
L’aumento dei rendimenti per i bond giapponesi non è una buona notizia in sé per il mercato sovrano europeo. Aumenta la concorrenza esterna con la possibile riduzione della domanda nipponica (e non solo) di Bund, Oat, BTp, Bonos, ecc. D’altra parte, i primi restano profondamente negativi in termini reali. Viceversa, i titoli di stato italiani già offrono rendimenti positivi con riferimento non solo all’inflazione attuale, ma anche a quella attesa nel medio-lungo termine. Insomma, una risalita all’1% non rende i titoli di Tokyo allettanti. A meno che essa non lasci presagire un rafforzamento dello yen, specie se arrivassero segnali di allentamento monetario dagli Stati Uniti.