Dieci anni fa, la Grecia iniziava a scrivere una pagina oscura della sua storia, precipitando in una gravissima crisi del debito sovrano. Furono necessari tre salvataggi internazionali in poco più di cinque anni e per un totale di circa 280 miliardi di euro per evitare il default ufficiale. Nel frattempo, il pil crollava di 25 punti percentuali e la disoccupazione esplodeva a un massimo del 27%, mentre la povertà dilagava. Questi problemi sono stati tutt’altro che risolti, ma i mercati narrano completamente un’altra storia.
Bond Grecia con le ali grazie alla BCE, Atene medita un’altra emissione entro l’anno
Lo spread con il Bund scende così a meno di 140 punti base, circa un trentesimo dell’apice toccato nel 2012, quando Atene dovette ristrutturare il suo debito in mano ai creditori privati. Sulle scadenze più brevi hanno preso piede anche qui i rendimenti negativi. In pratica, il mercato è disposto a pagare per comprare il debito di uno stato sostanzialmente fallito pochi anni fa e che alla fine di quest’anno dovrebbe attestarsi poco sotto il 200% del pil.
Il divorzio tra mercati e realtà non è figlio dell’avidità degli investitori, quanto dell’estremo accomodamento monetario della BCE. Con il PEPP di marzo, Francoforte ha inserito i titoli ellenici tra gli assets acquistabili. Da allora, ne ha messi in portafoglio per oltre 11 miliardi di euro, pari al 6% del pil della Grecia. Peraltro, nel secondo trimestre di quest’anno i governi di tutta Europa, Regno Unito compreso, risultano avere emesso debito per 1.351 miliardi di euro, +128% rispetto allo stesso periodo del 2019. Anche la Grecia si è rivolta nel corso dell’anno ai mercati e per quattro volte, raccogliendo un totale di 10 miliardi. Tuttavia, non aveva e continua a non avere alcuna esigenza finanziaria in tal senso, disponendo di liquidità per circa 35 miliardi di euro, frutto degli aiuti europei del 2015 ricevuti e non spesi e di precedenti emissioni a medio-lungo termine.
Spread con BTp ormai azzerato
Il mercato scommette anche sul fatto che, male che vada, Atene non toccherebbe più gli interessi dei creditori privati, avendo già essi contribuito con un sostanzioso “haircut” da 107 miliardi nel 2012. Poiché oltre l’80% del debito è ora in mano ai creditori pubblici (UE, BCE e FMI), toccherebbe eventualmente a loro mettere mano al portafogli, qualora se ne presentasse l’esigenza. Chiamatelo pure azzardo, ma ormai la curva sovrana ellenica ha annullato il gap con i BTp e sulle scadenze ultra-lunghe si pone, addirittura, un po’ sotto. In altre parole, il rischio percepito è più alto adesso per l’Italia.
La Grecia risulta prima beneficiaria del “Recovery Fund” in rapporto al pil. Riceverà ben 19 miliardi a fondo perduto nei prossimi tre anni, pari a un decimo della sua economia. Altri 12,5 miliardi potrà ottenerli in forma di prestiti. Inoltre, 40 miliardi le arriveranno con il bilancio comunitario dal 2021 al 2027. Un fiume di denaro, che dovrebbe sostenerne sviluppo e finanze pubbliche nei prossimi anni, sebbene lo scontro tra Consiglio ed Europarlamento di queste ore inviti alla prudenza. Non dovrebbe accadere, ma se le trattative naufragassero sul “Recovery Fund”, in particolare, quanto scritto fin qui grosso modo verrebbe meno. A quel punto, punteremmo tutti gli occhi su Francoforte.
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