Poco più di un anno fa, la Grecia emise il suo primo bond a 30 anni dal 2008. Una conferma del ritorno a pieno titolo sul mercato dei capitali dopo la lunga pausa legata agli anni travagliati dei salvataggi internazionali. Un’era a cui il ministro delle Finanze, Christos Staikouras, ha dichiarato nei giorni che Atene non dovrà più tornare. Lo ha fatto annunciando il rimborso con due anni di anticipo dell’ultima tranche dei prestiti ottenuti dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).
La decisione è stata presa anche con l’obiettivo di risparmiare 230 milioni di euro di interessi. A tanto ammontavano i più alti tassi dovuti all’FMI rispetto a quelli che i bond della Grecia spuntano ormai sui mercati da qualche anno. Ma anch’essi risentono del rialzo dei rendimenti obbligazionari globali. Il bond a 30 anni di un anno fa fu emesso con scadenza 24 gennaio 2052 e cedola 1,875% (ISIN: GR0138017836), esitando allora un rendimento dell’1,91%. Venerdì scorso, risultava salito in area 3,5%. Da una quotazione arrivata nell’agosto scorso a 114, siamo scesi ad appena 74 centesimi, un tonfo del 35% in un lasso di tempo così breve.
Bond Grecia a premio, rischio reale basso
E così, lo spread con il BTp a 30 anni è passato in un anno da una quindicina di punti a una cinquantina. I bond della Grecia stanno pagando più degli omologhi italiani l’atteso rialzo dei tassi BCE per una ragione semplice: con la fine del PEPP, Francoforte non potrà più acquistarli con il programma ordinario noto come “quantitative easing” (QE). Ma c’è da dire che entro pochi mesi cesseranno con ogni probabilità anche gli acquisti netti con il QE, per cui le distanze con l’Italia potrebbero rientrare.
Il bond a 30 anni della Grecia offre un premio di circa mezzo punto percentuale sul BTp di pari durata, ma a fronte di un maggiore rischio di credito nei fatti molto esiguo. Il paese ha già ristrutturato i suoi titoli del debito nella primavera di dieci anni fa. L’80% delle sue esposizioni, complessivamente pari al 200% del PIL, le ha nei confronti dei governi dell’Eurozona, cioè creditori pubblici. Se mai in futuro dovesse ritrovarsi nelle condizioni di rinegoziare ancora una volta il debito, su di loro ricadrebbe l’onere e non più sugli investitori privati. Soprattutto, l’era delle risse a Bruxelles per decidere se salvare o meno la Grecia, lasciando finanche che esca dall’euro, è alle spalle.