Agli inizi di agosto, il rendimento del bond a 10 anni della Grecia era identico a quello del BTp: 0,53%. Da quel momento, è partita la corsa dei rendimenti sovrani in entrambi i paesi, ma con una notevole differenza di velocità. Oggi, il decennale italiano offre l’1%, quello ellenico l’1,37%. In pratica, Atene ha perso posizioni rispetto a Roma. Tuttavia, sulle scadenze più lunghe torna a battere il mercato obbligazionario tricolore, se è vero che il bond a 20 anni offre meno dell’1,05%, dato che si confronta con quasi l’1,60% dell’Italia.
Dunque, curva dei tassi invertita in Grecia sul tratto lungo. La causa di questa anomalia si chiama BCE. Al board di giovedì prossimo, l’istituto dovrebbe annunciare l’avvio del “tapering”. Gli acquisti dei bond con il PEPP cesseranno verosimilmente alla fine di marzo, come previsto. I bond della Grecia rimarrebbero così privi di domanda da parte di Francoforte. Essi non possono essere acquistati tramite il “quantitative easing” (QE), a causa dei bassi rating. E l’ipotesi di includerli ugualmente nel programma ordinario sta sfumando definitivamente.
Bond Grecia e Italia al test del PEPP
In questi giorni, si sta diffondendo l’indiscrezione per cui la BCE si mostrerebbe più flessibile in fase di rinnovo degli acquisti dei bond con il PEPP. Ad oggi, sappiamo che saranno condotti almeno fino alla fine del 2023. La notizia avrebbe dovuto ravvivare i bond di Italia e Grecia, invece ha finito per deprimerli. Lo spread BTp-Bund a 10 anni si colloca ormai sopra 130 punti base e il BTp decennale viaggia all’1%. In effetti, il mercato ha inteso il rumor come una sorta di contentino offerto dalla BCE ai paesi fiscalmente più deboli.
In altre parole, più che ad acquisti flessibili per sventare sul nascere possibili speculazioni ai danni di questo o quel mercato sovrano, gli obbligazionisti si aspetterebbero una decisione più “dovish” sul PEPP.