Pur in assenza di un comunicato ufficiale del governo, la Bolivia ha pagato la cedola semestrale del bond in dollari in scadenza il 20 marzo 2028 (ISIN: USP37878AC26). Ha sborsato 22,5 milioni, la metà dei 45 milioni dovuti ogni anno sul capitale nominale da 1 miliardo preso in prestito sui mercati internazionali. La notizia è arrivata venerdì, prova che il pagamento sarebbe avvenuto con qualche giorno di ritardo rispetto alla data di lunedì scorso. Il default non è scattato tecnicamente, ma la situazione finanziaria del paese latinoamericano si fa sempre più delicata.
Il cambio fisso non regge. Le riserve valutarie sono scese a meno di 3,5 miliardi di dollari, corrispondenti a circa 2 mesi e mezzo di importazioni. Al netto dell’oro, però, in cassa ci sono appena 709 milioni. Troppo pochi per consentire alla Bolivia di continuare a commerciare con l’estero, a maggior ragione che la bilancia commerciale esita oramai saldi negativi. I bond in dollari retrocedono sui mercati. La scadenza del 2028 è scesa in un anno di quasi il 35% a un prezzo di neppure 58 centesimi. Il rendimento annuo è così salito al 18,35%, segnalando uno spread con il T-bond americano di pari durata a 1.500 punti o 15%. Considerate che già a 1.000 punti o 10% si entra tecnicamente in una situazione di stress finanziario.
Bond in dollari Bolivia “spazzatura”
E’ naturale che il mercato abbia paura dei bond in dollari. Con quale valuta la Bolivia potrebbe rimborsarli? Certo, non ci sono grosse scadenze da fronteggiare da qui ai prossimi tre anni. Tuttavia, di questo passo rischia di risultare difficile persino il pagamento delle cedole.
Le vicissitudini politiche non aiutano. Dopo la cacciata di Evo Morales dal potere nel 2019 e una breve presidenza pro-tempore, alle elezioni del 2020 ha trionfato il candidato socialista Luis Arce. Le sue posizioni marxiste non hanno aiutato ad attirare i capitali stranieri negli ultimi anni. E dire che la Bolivia esporta materie prime, per cui in questa fase si troverebbe avvantaggiata nelle relazioni commerciali. Non è l’unica situazione delicata nella regione. Come non fare riferimento al caos in Perù dopo la deposizione dell’ex presidente Pedro Castillo o al deterioramento in Cile, roccaforte del liberalismo economico fino a poco tempo fa e ora governato dal presidente marxista Gabriel Boric.