Bond Intesa San Paolo in renminbi, troppo rischioso

Il gruppo bancario italiano ha collocato una obbligazione quinquennale in valuta cinese. Ottima la risposta del mercato, ma l’economia del Dragone è a rischio
11 anni fa
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Intesa San Paolo parla cinese. Il gruppo bancario italiano ha appena lanciato sul mercato obbligazionario un’emissione di titoli obbligazionari senior a 5 anni denominati in renminbi, la valuta nazionale cinese. Per Ca’ de Sass si tratta della prima emissione di questo tipo. Sono molte le banche e le finanziarie europee che in questi ultimi due anni si sono rivolte al mercato cinese per emettere debito considerando la valuta del Dragone come sicura e affidabile. La Cina, del resto, ha dimostrato una stabilità economica e finanziaria invidiabile se raffrontata a quanto accaduto in USA ed Europa.

I bond di Intesa San Paolo, emessi per 650 milioni di yuan (80 milioni di euro), sono stati assegnati a investitori istituzionali, per lo più asiatici, e pagano un tasso fisso del 4,5%. L’emissione (Isin XS1038629496) – si apprende da una nota – è stata gestita in qualità di book-runner da Banca Imi, Hsbc e Sinopac e ha carattere benchmark sulla base dei parametri locali, cioè di almeno 50 milioni di euro. Il collocamento è stato avviato in Asia alle ore 2 del mattino circa e si è già chiuso con una buona risposta da parte degli investitori. I titoli verranno poi quotati sulla borsa irlandese e negoziati per tagli minimi di 1 milione di yuan.

 

Il renminbi si sta indebolendo nei confronti dell’euro

 

Intesa

Per Intesa SanPaolo si tratta di un grosso successo, sia finanziario che di immagine. Il renminbi si sta indebolendo nei confronti dell’euro a causa del rallentamento della crescita economica cinese e, forse, fra cinque anni Intesa SanPaolo avrà la possibilità di rimborsare il prestito spendendo meno di quanto preventivato in fase di collocamento del bond. Così come per il pagamento degli interessi. Discorso inverso per l’investitore che potrebbe, invece, subire perdite ingenti sul cambio se il renminbi dovesse indebolirsi ancora. Posto che l’emittente (BBB) mantenga i requisiti necessari per mantenersi in area “investment grade” e che la Cina rimanga un’economia solida, la perdita di valore del renminbi nei confronti del dollaro (e dell’euro) potrebbe essere il prezzo da pagare per rimanere competitivi a livello internazionale grazie all’export.

Dalla fine dello scorso anno, la valuta cinese ha perso il 4% e non è certo paragonabile ai tonfi subiti dalle monete dei paesi emergenti. Tuttavia, il trend in atto – osserva Wei Yao, analista di Société Générale – lascia intendere che la Cina potrebbe essere costretta ad alzare i tassi d’interesse nel 2014 per rafforzare il renminbi soprattutto nei confronti del dollaro. Finora la Cina è cresciuta a grandissima velocità, ma ha anche portato a squilibri economici e finanziari, oltre che sociali e ambientali, tali da non poter essere più sostenuto nel lungo periodo. Il che si sta riflettendo sul rapporto di cambio del renminbi.

 

La Cina vende titoli di stato USA per sostenere la propria valuta

 

renminbi

La Cina è oggi la seconda economia più grande al mondo e per gli ultimi 30 anni l’economia cinese è cresciuta ad un ritmo impressionante, ma è evidente che non può durare e già ci sono le prime avvisaglie. La flessione dell’economia potrebbe portare a difficoltà finanziarie planetarie, ma dato l’ancora forte controllo dello Stato sul sistema, Yao sostiene che una vera e propria crisi finanziaria potrà essere evitata. Di fatto la Cina sta vendendo ingenti quantità di dollari sul mercato per difendere il renminbi e prendere tempo per attuare importanti riforme. Secondo Societé Générale,  nel 2014 la Cina crescerà del 6,9% su base annua. [fumettoforumright]Yao ipotizza, però, che la transizione cinese verso il nuovo modello di crescita possa essere più difficile del previsto e che questo porti ad una crescita ancora inferiore, del 5% annuo e anche meno.

Le autorità cinesi lo sanno benissimo ed è per questo stanno liquidando buoni del Tesoro USA. A dicembre ne sono stati scaricati per 48 miliardi di dollari, in concomitanza con la fine del “tapering” della Fed, e altri grossi quantitativi sono in programma ogni mese. Le riserve valutarie cinesi sono così calate da 1.316 miliardi a 1.269.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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