Con il decreto “Salva-tutti”, ultimo atto rilevante del governo gialloverde e sul quale hanno inciso fortemente le modifiche pretese dalla Lega, allora in maggioranza, la città di Roma non si è scrollata di dosso di tutti i debiti, bensì solo di quelli di natura finanziaria. Il cosiddetto bond RomeCity 2048 e cedola 5,345% (ISIN: XS0181673798) è stato accollato al Tesoro, che si farà carico, quindi, di pagare gli interessi annuali per quasi 75 milioni di euro, sebbene tali costi verranno sottratti alla commissione commissariale del Comune di Roma, che ogni anno grava sullo stato per 300 milioni di euro.
“Salva Roma” accolla i debiti della Raggi a tutta Italia?
Al momento, l’obbligazione trentennale capitolina prezza in area 160 e offre così un rendimento effettivo alla scadenza di poco superiore al 2%, la metà di quello esitato all’inizio di quest’anno. Rispetto al BTp marzo 2048 e cedola 3,45% (ISIN: IT0005273013), lo spread si aggira a quasi 60 punti base, in calo dai circa 80 di inizio anno, un timido segnale di minore percezione del rischio sul mercato, anche se obiettivamente dopo il varo del decreto ci si sarebbe aspettati un restringimento più significativo. In effetti, nel 2019 il bond di Roma si è apprezzato del 36%, il BTp di pari durata del 38%. Dunque, non c’è stato alcun rally peculiare del primo.
Rimborso anticipato o “swap” BTp
In teoria, allo stato converrebbe il rimborso anticipato delle obbligazioni che si è accollato tramite nuove emissioni, in quanto oggi come oggi risparmierebbe qualcosa come 52 milioni all’anno di interessi, circa 630 milioni da qui alla scadenza. A tanto ammonta la differenza tra i rendimenti del bond capitolino e del BTp 2038, ammesso che l’operazione avvenisse con l’emissione di nuovi titoli trentennali. Tuttavia, non si potrebbero costringere gli obbligazionisti a cedere i titoli in possesso. Per indurli a farlo, il Tesoro dovrebbe acquistarli almeno agli attuali prezzi di mercato, spendendo fino a 2,24 miliardi per rimborsare un capitale nominale di 1,4 miliardi, vuoi attraverso un vero rimborso anticipato, vuoi anche tramite uno “swap” con BTp di nuova emissione.
A conti fatti, se oggi continuasse a pagare fino alla scadenza ai tassi fissati a fine 2003 spenderebbe 2,17 miliardi di soli interessi, oltre a 1,4 miliardi di capitale da rimborsare nel 2048. L’alternativa odierna sarebbe di emettere debito per 2,24 miliardi e di versare agli obbligazionisti “solo” circa 38,5 milioni di euro all’anno, ossia poco più di 1,1 miliardi in tutto, risparmiando 230 milioni complessivi. Non tanti, ma comunque il risultato netto dell’operazione sarebbe positivo per le casse pubbliche. Resta il fatto che l’impatto immediato equivarrebbe a un aumento del debito nominale per 840 milioni, circa lo 0,05% del pil, che di questi tempi non andrebbero sottovalutati, visti gli occhi dei mercati sui nostri bond, anche se in teoria sarebbe sufficiente ridurre di pari ammontare le scorte di liquidità per non gravare sullo stock.
Perché il governo forse rimborserà il bond di Roma in anticipo
Il punto è che dal momento in cui il bond RomeCity è stato accollato al Tesoro, nei fatti gli obbligazionisti non avvertono più il rischio di credito legato all’emittente, cioè il Comune di Roma, per cui godono di una cedola relativamente elevata, ma alla quale nei fatti corrispondono (minori) probabilità di default in linea con quelle dei titoli sovrani nazionali. Certo, metterebbe l’acquolina in bocca un rimborso/scambio con BTp agli attuali prezzi di mercato, cristallizzandone le plusvalenze elevate realizzate negli ultimi mesi. Vedremo se il Tesoro muoverà passi concreti in tale direzione. Non è nemmeno detto che debba emetter nuovo debito per rimborsare quello romano, godendo già di abbondante liquidità raccolta sui mercati in eccesso rispetto alle esigenze di cassa. In tal caso, risparmierebbe ben 75 milioni di euro all’anno e dalla gestione commissariale potrebbe sottrarre annualmente una cifra pari almeno al sovrapprezzo pagato per il rimborso e ammortizzato per il numero di anni intercorrenti alla scadenza.