Giovedì prossimo la banca centrale turca sarà chiamata a decidere se lasciare i tassi di interesse invariati dall’attuale livello del 50% o tagliarli. Dopo il maxi-taglio dello 0,50% della Federal Reserve di mercoledì scorso, non possiamo escludere che il governatore Fatih Karahan annunci qualche sorpresa. L’inflazione domestica è in calo ai minimi dal mese di luglio dello scorso anno, ma la prudenza resta d’obbligo. L’indice dei prezzi al consumo è cresciuto in agosto pur sempre del 52% su base annua. Per i bond turchi in dollari, comunque sia, questa è una fase molto positiva.
Bond turchi in dollari, rally in doppia cifra
I bond turchi in dollari con scadenza 14 febbraio 2034 e cedola 8% (ISIN: US900123AT75) quest’anno si sono apprezzati di quasi il 5% a 110,75. Se comprendiamo anche la cedola maturata dall’investitore in questi quasi nove mesi e teniamo conto dell’effetto cambio, il guadagno risulterà superiore al 9%. Ben maggiore se prendiamo come riferimento i minimi toccati alla fine di maggio dello scorso anno, in coincidenza con la rielezione del presidente Recep Tayyip Erdogan. L’apprezzamento di oltre il 26% si somma al 12% della cedola effettiva lorda. Pur a fronte di un -4% messo accusato nel frattempo dal dollaro contro l’euro, il guadagno sfiora il 34,50%.
Con rielezione di Erdogan ritorno a politica ortodossa
La svolta c’è stata proprio con la rielezione di Erdogan, avvenuta dopo un combattuto ballottaggio. Il presidente ha cambiato i vertici di Tesoro e banca centrale, affidandosi a personalità gradite ai mercati per la loro ortodossia fiscale e monetaria rispettivamente. Da allora, la lira turca è stata svalutata del 40%, mentre i tassi di interesse sono stati alzati nove volte fino all’attuale 50% dall’8,50% a cui erano stati portati sotto il governatore Sahap Kavcioglu.
Rischio sovrano in calo
I bond turchi risalgono perché stanno scontando un minore rischio sovrano percepito dagli investitori stranieri, oltre che domestici. Essi restano, tuttavia, “non investment grade”. Durante lo scorso decennio, erano diventati “investment grade” per Moody’s. Pensate che la scadenza sopra indicata fu emessa nel 2004 e, pertanto, era inizialmente di durata trentennale. Verso la fine del 2012 era arrivata a quotare 152, offrendo un rendimento lordo annuale intorno al 3,85%. Il premio rispetto al Treasury ventennale fu allora di circa 130 punti base o 1,30%.
Allo stato attuale, questi bond turchi presentano una durata residua inferiore ai dieci anni e offrivano l’altro ieri il 6,54% contro il 3,74% del Treasury decennale. Il premio offerto risultava di 280 punti base o 2,80%. Questo vi fa capire quanto il mercato abbia pagato negli ultimi anni la perdita di credibilità della Turchia come debitore sovrano. Parte del rialzo del rendimento risente proprio del maggiore rischio di credito.
Prosieguo del rally possibile
C’è possibilità che il rally dell’ultimo quasi anno e mezzo prosegua? Dicevamo che la banca centrale ad agosto ha tenuto i tassi di interesse al 50%. Probabile che faccia lo stesso la prossima settimana, segnalando al mercato che vorrà perseguire tassi reali positivi. In pratica, ci attendiamo che l’allentamento monetario avvenga solamente in coincidenza con una discesa dell’inflazione sotto il 50%. E ciò al fine di preservare la stabilità della lira turca sul mercato forex. D’altra parte, da quando i tassi sono saliti all’apice nel marzo scorso, i prezzi al consumo sono aumentati del 14,67%. Proiettando il dato su base annua, otteniamo ancora un’inflazione vicina al 40%.
Il taglio dei tassi Fed agevola quello in Turchia, perché riduce l’appeal del mercato statunitense rispetto al resto del mondo.
Rally bond turchi positivo per riserve valutarie
C’è un’altra conseguenza positiva per l’economia domestica dall’apprezzamento dei bond turchi in dollari. La conseguente discesa dei rendimenti permette ad Ankara di rifinanziarsi più agevolmente sui mercati internazionali, andando a rimpinguare le riserve valutarie. A luglio, queste erano aumentate a più di 18 miliardi di dollari, al netto di debiti e swaps. Un anno prima erano negative per 60,5 miliardi. Solo un miglioramento costante di questo dato rasserenerebbe la banca centrale sul taglio dei tassi, altrimenti il rischio rimane di una fuga dei capitali con ulteriore impatto negativo sul cambio e, in ultima analisi, sulle stesse prospettive per l’inflazione domestica.