La lira turca continua a deprezzarsi sui mercati del cambio. Stamattina, viaggia a 8,32 contro il dollaro. Da inizio anno, perde quasi l’11%. E anche i bond turchi stanno seguendo la stessa sorte. I rendimenti a 10 anni sono esplosi sopra il 18%, così come quelli a 2 anni. La curva delle scadenze si sta normalizzando. Adesso, il rendimento decennale supera quello biennale di 10 punti base. Prima che il governatore Naci Agbal fosse licenziato dal presidente Erdogan, lo spread tra i due era negativo di 215 punti base.
Ma esistono anche bond turchi in euro, occasione d’investimento senza rischi di cambio per noi dell’Eurozona. In particolare, ve n’è uno con scadenza 16 febbraio 2026 e cedola 5,20% (ISIN: XS1909184753). Oggi, la sua quotazione si attesta a meno di 105 e offre un rendimento lordo di poco superiore al 4%. Considerate che per la medesima durata, un BTp rende meno dello 0,20%. Pertanto, siamo in presenza di uno spread in area 385 punti o 3,85%. Non è male per un investimento con rischio di cambio nullo.
Certo, il rischio di credito esiste. I bond turchi sono classificati “non investment grade” (IG) da tutte le agenzie di rating: B+ per S&P, BB- per Fitch e B2 per Moody’s. Nel caso di S&P, siamo a ben 4 gradini sotto il livello IG. Non è l’entità del debito pubblico a preoccupare (poco sopra il 30% del PIL prima del Covid), bensì le criticità finanziarie. E nel caso specifico, la Turchia dispone di scarse riserve valutarie con cui effettuare i pagamenti dei debiti esteri, tra cui le obbligazioni in euro di cui sopra.
Un anno fa, i bond turchi in euro a 5 anni offrivano ben il 6,10%, cioè circa 475 punti base in più dell’omologo BTp. Dunque, negli ultimi 12 mesi il differenziale si è ristretto di 90 punti a favore di Ankara. Invece, se facciamo un confronto con i titoli denominati in valuta locale, troviamo che quelli in euro oggi rendano il 14,50% in meno. Un anno fa, stavano a circa -550 bp. Qui, lo spread è esploso di ben 900 punti o 9%. Significa che il margine che i bond turchi in lire devono offrire in più rispetto a quelli in euro è cresciuto in misura abnorme, riflettendo la fuga dei capitali dal mercato sovrano domestico e l’accresciuto appeal del debito in valuta straniera.