La voce circolava da qualche giorno e alla fine le dimissioni sono arrivate davvero. E’ durata appena otto mesi l’esperienza di Gaye Hafize Erkan alla guida della banca centrale turca. La prima donna governatrice ha lasciato l’incarico dopo che duri attacchi da parte delle opposizioni e della stampa per un presunto caso di intromissione del padre nella gestione degli affari dell’istituto senza averne alcun titolo. Per tutta reazione i bond sovrani della Turchia denominati in dollari sono scesi di prezzo alla riapertura dei mercati internazionali, stamattina.
La scadenza a 5 anni, 26 aprile 2029 e cedola 7,625% (ISIN: US900123CT57), perde poco meno di mezzo punto percentuale mentre scriviamo, prezzando a 100,245 e offrendo un rendimento lordo sopra il 7,70%. La scadenza a 10 anni, 14 febbraio 2034 e cedola 8% (ISIN: US900123AT75), arretra dello 0,60% a 101,12 e rende poco più dell’8%.
Nominato Karahan al posto di Erkan
Non stiamo assistendo a cali drammatici, anche perché stavolta l’erraticità della politica del presidente Erdogan non c’entra. Questi aveva persino difeso la banca centrale dagli attacchi alla vigilia delle dimissioni, sostenendo che si trattasse di tentativi di frustrare i buoni risultati del nuovo corso iniziato dopo le elezioni del maggio scorso. Al posto di Erka, poi, è stato nominato governatore il vice Fatih Karahan, già economista in Amazon e alla Federal Reserve Bank of New York. E’ il sesto nella carica dal 2019. Quattro prima di lui sono stati licenziati dal presidente.
L’uomo dovrebbe proseguire la politica monetaria portata avanti dalla banca centrale negli ultimi otto mesi, durante i quali i tassi di interesse sono stati alzati di 3.650 punti base (36,50%) al 45%. Probabile anche un ulteriore rialzo dei tassi, sebbene Erkan avesse giudicato “concluso” il ciclo restrittivo nell’annunciare l’ultima stretta del 25 gennaio scorso. E la lira turca è stata svalutata di un terzo contro il dollaro nello stesso periodo.
Bond Turchia in tensione su incertezze del nuovo corso
Non ci sarebbe una vera ragione per vendere i bond della Turchia in questa fase, a meno di credere che l’avvicinarsi delle elezioni amministrative spinga Erdogan a rivedere ancora una volta la sua politica per allentare la stretta e favorire il proprio ceto elettorale, in buona parte composto da imprenditori edili. Tuttavia, il ministro delle Finanze, Mehmet Simsek, ha spiegato che le dimissioni di Erkan non rappresentano alcun passo indietro per la politica economica nel suo complesso.
In sostanza, è stata ribadita la fedeltà all’ortodossia riacciuffata dopo anni di misure contrastanti e paradossali. A gennaio, però, l’inflazione turca ha continuato a salire a quasi il 65% su base annua. L’aumento mensile dei prezzi al consumo è stato del 6,7%, il più alto da agosto. La spirale svalutazione-inflazione-svalutazione resta un problema per le famiglie. La discesa dell’inflazione s’intravede solo a partire dal giugno prossimo. Il ripiegamento dei bond della Turchia in queste ore potrebbe risentire delle incertezze tra gli investitori circa la capacità del nuovo governatore di tenere testa a Erdogan, noto “nemico dei tassi” per usare una sua stessa espressione.