Mancano due giorni alle elezioni presidenziali e politiche in Turchia e ieri un candidato si è ritirato dalla corsa. Si chiama Muharrem Ince, 59 anni appena compiuti, a capo di una lista chiamata MP (Partito della Madrepatria). Fuoriuscito dal CHP qualche anno fa, raccoglie consensi (pochi) nell’ambito del centro-sinistra. Giovedì ha annunciato che il suo nome non comparirà sulle schede elettorali, in quanto è rimasto vittima di un ricatto per un video hard che lo vedrebbe protagonista. Per i sondaggi avrebbe ottenuto appena 1-2 punti percentuali, voti che adesso andrebbero a Kemal Kiricdaroglu, il principale avversario del presidente uscente Recep Tayyip Erdogan.
La scadenza 15 gennaio 2028 e cedola 9,875% (ISIN: US900123DF45) è schizzata da una quotazione di 102,40 di martedì ai 105,68 di oggi. Il quinquennale offre ancora più dell’8,5% in termini di rendimento lordo annuale. La scadenza 19 gennaio 2033 e cedola 9,375% (ISIN: US900123DG28) è balzata da 100,40 a 104,96%. Il suo rendimento è sceso sotto l’8,80%. E l’ultra-ventennale con scadenza 17 febbraio 2045 e cedola 6,625% (ISIN: US900123CG37) è schizzata da 78,39 a quasi 83 centesimi in appena tre sedute. Rendimento in calo sotto l’8,50% in questo caso.
L’apprezzamento dei bond in dollari della Turchia si deve alle crescenti probabilità che Erdogan perda le elezioni di domenica. Probabile, tuttavia, che ci vorrà il ballottaggio fissato per il 28 maggio. La vittoria di Kiricdaroglu porterebbe ad una politica monetaria più ortodossa. Gli analisti si aspettano un maxi-rialzo dei tassi d’interesse per battere l’inflazione, ancora al 43,7% in aprile. Ciò aiuterebbe anche la lira turca, al collasso da molto tempo: -90% in dieci anni. Per quanto si renderebbe ugualmente necessaria una svalutazione, l’ulteriore tracollo atteso sarebbe inferiore senza Erdogan alla presidenza.
Bond Turchia in dollari su, Erdogan rischia sconfitta ad elezioni
I bond della Turchia sono classificati “non investment grade” dalle principali agenzie di rating.
Una vittoria di Kiricdaroglu per Citi farebbe affluire nel paese fino a 45-50 miliardi di dollari di investimenti stranieri. Sarebbe una boccata di ossigeno tra l’altro proprio per i bond della Turchia, oggetto di grosse vendite da anni. Per non parlare della borsa. Nel 2016, più del 60% delle azioni era in mano a investitori stranieri, i quali adesso detengono appena il 28,2%. Una fuga dei capitali che si arresterebbe solo con rialzo dei tassi d’interesse e svalutazione della lira. Quest’ultima è necessaria per porre fine al prosciugamento delle riserve valutarie. In caso contrario, il destino di Ankara sarebbe di somigliare drammaticamente a Buenos Aires.