E’ stata una settimana drammatica per il mercato finanziario turco. Venerdì 19 marzo, il presidente Erdogan licenziava il terzo governatore della banca centrale in poco più di un anno e mezzo. Naci Agbal veniva rimpiazzato con il più fidato Sahap Kavcioglu, confermando la propria ostilità per una politica di alti tassi contro l’inflazione. Alla riapertura dei mercati, il crollo della lira turca è stato impressionante: fino al -17%, salvo recuperare parzialmente le perdite e chiudere la settimana a -10%. Il tasso di cambio contro il dollaro è esploso da 7,22 a circa 8.
Il mercato sovrano di Ankara ne ha risentito duramente. I rendimenti a 10 anni sono saliti di oltre 500 punti base al 18,60%, mentre la scadenza a 2 anni ha accusato un rialzo di circa 470 punti al 19,43%. Il collasso ha riguardato anche i titoli denominati in valute straniere, con il bond in dollari 15 gennaio 2030 e cedola 11,875% ad avere perso il 7,5% e quello in euro con scadenza 16 febbraio 2026 e cedola 5,2% ad essersi deprezzato del 6,75%. Questo, perché il crollo ulteriore della lira impatta negativamente sulla sostenibilità del debito estero.
Dall’inizio dell’anno, i deflussi dai fondi obbligazionari turchi sono stati di quasi 1 miliardo di dollari (977,6 milioni). Si direbbe che sia arrivato il momento di tornare a guardare alla Turchia, dati i rendimenti elevatissimi e un tasso di cambio già indebolitosi a doppia cifra in poche sedute. La realtà è, però, molto meno rassicurante. Secondo Commerzbank, le previsioni sulla lira turca a fine anno si sono indebolite a titolo puramente indicativo da 8 a 10 contro il dollaro. Se avesse ragione, il cambio perderebbe un altro 20% da qui a nove mesi. Capite bene che non avrebbe alcun senso investire in assets che offrano rendimenti del 20%, quando altrettanto lo si perderebbe teoricamente a causa del cambio. E il trend negativo va avanti ormai da anni, se è vero che nell’ultimo decennio la lira ha perso oltre l’80%.