L’Unione Europea ha affidato il mandato a un gruppo di banche per collocare sul mercato il primo bond legato al finanziamento del Recovery Fund. L’operazione sarà seguita da BNP Paribas, DZ Bank, Banca Intesa-Sanpaolo e Morgan Stanley in qualità di joint-lead managers. Danske Bank e Santander agiranno in qualità di co-lead managers.
L’emissione riguarderà obbligazioni a 10 anni. Stando alle dichiarazioni del ministro delle Finanze francese di fine maggio, l’importo raccolto sarà di 10 miliardi. Da qui alla fine dell’anno, la UE punta a raccogliere 80 miliardi di capitali per il Recovery Fund, mentre entro il 2026 dovrà raccogliere 800 miliardi.
Ma qui siamo a un salto di qualità, oltre che di quantità. Non siamo ancora in presenza dei famosi Eurobond propriamente detti, ma per la prima volta, pur in via straordinaria, gli stati aderenti alla UE hanno concordato l’emissione di debito comune per reagire a una crisi. Impensabile negli anni passati, quando i capi di stato e di governo sfiorarono la rottura sul salvataggio della Grecia. La Commissione dovrà costruirsi una curva delle scadenze, per cui certamente nei prossimi mesi e anni procederà ad emettere bond sui tratti sia lunghi che medio-brevi e medi.
Con il Recovery Fund, la UE sosterrà la ripresa post-Covid delle economie più colpite. L’Italia risulta prima beneficiaria in valore assoluto con oltre 190 miliardi tra prestiti e sovvenzioni. Tuttavia, i rischi delle emissioni sovranazionali ci sono anche e, soprattutto, per i nostri BTp. I bond UE rappresenteranno sempre più i titoli “core” a cui il mercato guarderà, a fianco principalmente dei Bund. Faranno sostanzialmente concorrenza ai titoli tedeschi. E poiché il mercato sovrano tedesco è di dimensioni ridotte, a seguito dei bilanci molto ordinati della Germania, le emissioni di bond UE daranno sfogo a una domanda generalmente repressa.
Ma allo stesso tempo, i capitali potranno decidere di spostarsi stabilmente sul segmento “core” sovranazionale, anziché finanziare direttamente le emissioni di debito del governo italiano. I BTp, già considerati titoli “periferici” nell’Eurozona, rischiano di diventarlo ancora di più. Ciò significherebbe ampliare lo spread con i Bund e dovere offrire rendimenti ancora più alti al mercato per trovare sufficiente domanda. A meno che queste emissioni sovranazionali non riescano a far scendere il rischio sovrano percepito in Italia, lasciando intravedere una mutualizzazione crescente dei debiti nell’unione monetaria. Ancora una volta, tutto dipenderà dal tipo di ripresa dopo la pandemia. Se asimmetrica, neppure i bond UE riusciranno a mitigare il rischio percepito a carico dei BTp.