Un nostro articolo di qualche giorno fa sull’esistenza di una clausola peculiare tra le condizioni contrattuali fissate per i bond del Venezuela ha destato molto interesse. Parecchi lettori, in qualità di piccoli investitori, ci hanno chiesto di saperne di più. La domanda principale riguarda le modalità pratiche con le quali cercare di bloccare la prescrizione degli interessi arretrati, che scatta dopo tre anni dal default, cioè nel novembre di quest’anno. Premesso che di certezze non ne esisterebbero in questa vicenda, ribadiamo alcuni concetti già espressi: in teoria, basterebbe il compimento di un atto sufficiente a rivelare l’intenzione dell’obbligazionista di non perdere il diritto.
Bond Venezuela, attenzione a clausola sugli interessi arretrati
In che modo? Anche con una semplice lettera con la quale si sollecita il pagamento degli interessi arretrati. Inviata a chi? Bel problema. Il Tesoro di Caracas fa parte del governo Maduro, che numerosi stati della comunità internazionale non riconoscono più da un anno. E tra gli stati che hanno riconosciuto come legittimo presidente Juan Guaido vi sono gli USA, tanto che il presidente Donald Trump lo ha voluto al Congresso per presenziare al discorso sullo Stato dell’Unione di settimana scorsa.
Poiché i circa 60 miliardi di dollari di obbligazioni in valuta estera sono stati emessi sotto la legge americana, la giustizia a stelle e strisce sarà competente per gli atti che riguardano eventuali diatribe tra creditori e stato venezuelano. Quest’ultimo ai suoi occhi non potrà essere rappresentato da un governo illegittimo, bensì solo da quello riconosciuto da Washington. Dunque, la lettera per bloccare la prescrizione andrebbe inviata al governo Guaido. Purtroppo, questi non solo non si è insediato formalmente, ma nemmeno controlla il paese. Per essere concreti, non esisterebbe un indirizzo a cui fare riferimento, visto che il Ministero del Tesoro risulta saldamente controllato dal regime “chavista”.
Timide aperture apparenti del regime
Poiché trattasi di materia per giuristi, Investire Oggi fa appello a quanti volessero dare il proprio contributo agli obbligazionisti italiani coinvolti nella vicenda, molti dei quali ci scrivono desiderosi di fare fronte comune per meglio farsi rappresentare in eventuali trattative con il Venezuela.
Nelle ultime settimane, qualcosa eppure si muove. Anzitutto, Maduro si starebbe convincendo della necessità di coinvolgere il capitale privato per l’aumento della produzione petrolifera, crollata ad appena 800 mila barili al giorno. Adesso, prenderebbe in considerazione la vendita di azioni della compagnia statale PDVSA a partner come la russa Rosnfet, la spagnola Repsol e l’italiana Eni. La mossa consentirebbe al regime di introitare nei mesi successivi più dollari dalla vendita all’estero di una quantità maggiore di barili estratti.
E nei giorni scorsi si è persino vociferato che Maduro abbia tenuto colloqui segreti con alcuni dei creditori, fornendo loro la prospettiva di entrare in possesso di azioni di una compagnia straniera attiva nelle trivellazioni e alla quale verrebbero ceduti i diritti sui campi petroliferi venezuelani. In questo modo, almeno parte del debito verrebbe recuperato. Per quanto parliamo solo di voci, sono il segnale che la chiusura a riccio degli anni passati da parte del regime al mondo esterno starebbe almeno affievolendosi. E tutto ciò che favorisce l’ingresso di dollari nel paese rappresenta una buona notizia per gli obbligazionisti, i quali dovranno confidare essenzialmente nella risalita delle riserve valutarie per sperare di essere rimborsati. Con le sole buone intenzioni nemmeno Guaido sborserà un centesimo.
Bond Venezuela, Maduro riapre alla ristrutturazione del debito