Domenica 6 dicembre, in Venezuela si tengono le elezioni politiche per rinnovare i 167 seggi dell’Assemblea Nazionale e per aggiungerne altri 93, come da riforma voluta dal regime di Nicolas Maduro. In tutto, saranno in ballo 277 seggi per eleggere altrettanti deputati. Per l’occasione, abbiamo intervistato l’Ing. Celestino Amore, Ceo di IlliquidX, società di consulenza con sede a Londra e che offre servizi di advisory a Canaima Global Opportunities, fondo attivo sul mercato del debito sovrano venezuelano.
- Dottor Amore, quale credibilità hanno le elezioni politiche di domenica prossima e con quali conseguenze sui bond del Venezuela?
Non ci aspettiamo sorprese, l’opposizione vera al regime sta boicottando queste elezioni, che la Comunità internazionale neppure riconosce.
- Il governo ha assegnato agli obbligazionisti tempo fino al 13 dicembre, prorogando l’ultimatum di 30 giorni, per accettare la ristrutturazione di oltre 60 miliardi di dollari di debiti. Quali sono le condizioni offerte e cosa si sente di suggerire ai creditori?
Le condizioni offerte sono le stesse della prima delle tre proposte sin qui effettuate, quella con deadline 13 ottobre. Esse vengono rivolte dal Ministero alle Finanze agli obbligazionisti e riguardano nella sostanza la sospensione della clausola sull’enforcement, cioè la prescrizione dei pagamenti sui bond a distanza dei 3 anni dall’interruzione dei pagamenti stessi, a patto che nessuna azione legale venga intrapresa contro il governo e la compagnia petrolifera statale PDVSA.
Affinché l’offerta sia valida, ogni ISIN dovrà raccogliere adesioni per il 75%. Trattasi di un quorum elevatissimo, condizione che riteniamo molto difficilmente raggiungibile. Oltre tutto, il governo non è riconosciuto da gran parte della Comunità internazionale ed è sotto sanzioni. Crediamo che la prescrizione sia di estrema rilevanza, contrariamente alle interpretazioni discordanti che si sono avute in questi mesi. Il regime intende utilizzarla come arma di negoziazione per giungere al vero obiettivo: la cancellazione del debito estero. E lo stesso vuole il presidente Juan Guaido, sostenuto dagli USA.
- L’amministrazione Trump è stata piuttosto dura con Caracas, arrivando a sanzionare gli scambi obbligazionari sul mercato secondario. Crede che la posizione di Washington sarà più morbida e con quali implicazioni per gli obbligazionisti esteri?
A dire il vero, le sanzioni contro il Venezuela iniziarono sotto l’amministrazione di Barack Obama. I democratici non saranno più teneri con Caracas. Semmai, pensiamo che ci sarà una sorta di softnening per ragioni umanitarie, magari tramite la riattivazione di programmi come Oil for Food. La questione ruota tutta attorno all’uscita di scena di Maduro. Se questi cedesse, le relazioni migliorerebbero, ma se così non fosse, nei prossimi 4 anni non cambierebbe praticamente nulla. Di conseguenza, non ci aspettiamo neppure grosse novità per gli obbligazionisti.
- Da un lato abbiamo un regime delegittimato dalla Comunità internazionale e che mantiene saldo il potere, dall’altro un Juan Guaido riconosciuto capo dello stato del Venezuela dall’America e una cinquantina di altri stati, ma che nei fatti non controlla un bel nulla. Con chi dovrebbe trattare un obbligazionista? E come?
Gli obbligazionisti non possono trattare con nessuno, perché il Venezuela è oggetto di sanzioni sia che il leader sia Maduro, sia che si tratti di Guaido. Di certo c’è che fino a quando Maduro resterà in sella, le sanzioni non verranno mai ritirate.
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