L’arresto con successivo rilascio di Maria Corina Machado ha riacceso i riflettori sul sanguinario regime di Nicolas Maduro e alimenta le incertezze degli investitori circa il futuro imminente dei bond del Venezuela. La leader dell’opposizione è stata fermata dalle autorità quando era a bordo di uno scooter. Ufficialmente, ieri è iniziato il nuovo mandato presidenziale, ma per l’Unione Europea il nuovo capo dello stato è Edmundo Gonzalez Urrutia, vincitore delle ultime elezioni nel luglio scorso, anche se i risultati sono stati truccati.
Bond Venezuela, scambi ora possibili
I bond del Venezuela sono stati impossibili da scambiare sul mercato secondario tra gli inizi del 2019 e l’ottobre del 2023.
Gli Stati Uniti avevano imposto l’embargo persino sul trading. Un modo per staccare definitivamente la spina finanziaria a Caracas. L’amministrazione Biden allentò le sanzioni poco più di un anno fa, tra l’altro consentendo partnership tra compagnie americane e la compagnia petrolifera statale PDVSA. L’obiettivo ufficiale consistette nel favorire il dialogo tra Maduro e le opposizioni, consentendo a queste ultime di partecipare alle elezioni dell’estate scorsa senza brogli.
Con Trump torna l’embargo?
Le cose sono andate diversamente. I leader dell’opposizione restano o incarcerati o in fuga all’estero, mentre il regime si rivela saldo. Ma tra pochi giorni alla Casa Bianca tornerà Donald Trump, nemico giurato di Maduro. Alla luce di questo evento è possibile che l’embargo sul trading venga riattivato? Se la risposta fosse affermativa, converrebbe rivendere i bond del Venezuela in portafoglio, a meno di non confidare in una futura rinegoziazione del debito per spuntare condizioni migliori. Un’alternativa sarebbe di affidarsi alle offerte dei fondi speculativi, che di tanto in tanto si affacciano per raccogliere adesioni tra le migliaia di piccoli investitori individuali di tutto il mondo.
Il Venezuela è in default dalla fine del 2017 e da allora non è mai iniziato un serio dialogo con i creditori per giungere a un accordo. La ragione è elementare: non ci sono soldi per sbloccare la situazione. Ci sono 154 miliardi di dollari di esposizioni su cui trattare, quando le riserve valutarie ammontano ad appena 10 miliardi. E’ vero che la situazione sul piano economico e finanziario è meno devastante rispetto a qualche anno fa. L’iperinflazione è cessata, la carenza generalizzata di beni è venuta parzialmente meno e le estrazioni di petrolio si sono riprese dai minimi. Tuttavia, la situazione rimane pesante.
Trading sul secondario a quotazioni infime
I bond del Venezuela sul mercato secondario trattano intorno ai 15 centesimi. In pratica, li si acquista pressappoco al 15% del loro valore nominale. Può sembrare poco, ma sotto l’embargo le offerte erano in area 5 centesimi con picchi massimi di 10 centesimi. Un anno fa, le quotazioni arrivarono a superare i 20-22 centesimi. Il declino si deve a due ragioni. La prima è che molti obbligazionisti ne hanno approfittato per monetizzare quei titoli in portafoglio che ormai sembravano pezzi di antiquariato. La seconda è che dopo le elezioni presidenziali è svanito quel cauto ottimismo su un possibile cambiamento di regime pacifico a Caracas.
Contrariamente a quanto ci saremmo aspettati, la rielezione di Trump a novembre non ha portato a un deprezzamento dei bond del Venezuela. Al contrario, le quotazioni ultimamente sono persino in rialzo. Probabile che si fiuti la fine del regime dopo la caduta inaspettata di Bashir al-Assad in Siria. C’è un filo comune che lega i due stati: la Russia.
Mosca è stata alleata di Damasco e lo è ancora di Caracas. Un po’ per le difficoltà che sta affrontando in questa fase, ha abbandonato il regime siriano al suo destino, pur offrendo asilo politico all’ex dittatore. Questo caso segnala una certa inaffidabilità dei russi, oltre che l’incapacità di poter garantire gli alleati oltre un certo punto.
Bond Venezuela, rinegoziazione lontana in ogni caso
Se prevedessimo la fine imminente del regime di Maduro, i bond del Venezuela acquisirebbero valore sul mercato. Ma è bene non illudersi. In primis, perché il Sud America non è il Medio Oriente. E secondariamente, perché anche nel caso di caduta dei “chavisti”, l’eredità sul piano economico-finanziario sarebbe così pesante da non offrire grossi margini per trovare un’intesa veloce con i creditori internazionali. Il Paese andino non sarebbe in ogni caso nelle condizioni di riprendere i pagamenti, pur a seguito di un accordo con perdite elevate a carico degli obbligazionisti.