Bot 6 mesi volano al 6,5%: allarme rosso

Si impennano dell'80% i rendimenti dei buoni ordinari a sei mesi emessi dal Tesoro all'indomani dell'ennesimo "no" da parte della Germania agli eurobond. In rialzo anche i CTZ a due anni collocati in asta per 2 miliardi
13 anni fa
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Asta BoT a 12 mesi febbraio 2024
Asta BoT a 12 mesi febbraio 2024 © Licenza Creative Commons

ASTA BOT 6 MESI: RENDIMENTO A LIVELLI RECORD – Era dai primi anni ’90 che non si vedevano rendimenti del genere. Se non fosse per il clima disfattista e dall’atteggiamento della Germania alimentato dalla speculazione contro l’euro, ci sarebbe da brindare per il ritorno dei bot people. L’asta indetta oggi dal Tesoro ha infatti registrato una domanda, soprattutto proveniente dal retail, pari a una volta e mezzo l’ammontare di 8 miliardi di euro di buoni ordinari a 183 giorni. 800 milioni in meno rispetto allo stock in scadenza per fine mese.

Il rendimento offerto è stato del 6,504%, in netto rialzo rispetto all’ultimo collocamento del mese scorso che aveva visto i rendimenti superare il 3,5%. (Asta Bot 6 mesi: rendimenti volano al 3,5%). Ovviamente non è tutto oro quello che luccica – commenta un operatore della BPM – poiché a fronte di simili rendimenti lo Stato dovrà corrispondere maggiori interessi (si calcola 5-6 miliardi in più solo per il 2012) a chi gli presta il denaro costringendo quindi il governo ad adottare pesanti contromisure per contenere la spesa pubblica e per ridurre lo stock di debito in circolazione. Un ammontare che, nel caso dei Bot, al 15 Novembre scorso era stato quantificato in 146.587 milioni di euro, in leggera diminuzione rispetto a un anno prima.

 

RENDIMENTO CTZ 2 ANNI AL al 7,8%

In rialzo anche il rendimento dei CTZ. Contestualmente all’asta dei Bot, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha collocato anche due miliardi di Certificati di Credito del Tesoro Zero Coupon che a scadenza rendono il 7,814% (Isin: IT0004765183), facendo un balzo in avanti del 70% in termini di rendimenti rispetto alla precedente asta del mese di ottobre (4,63%). Anche qui la domanda è stata sostenuta, sopra i 3 miliardi di euro, soprattutto da parte degli istituzionali e dagli affezionati a questo tipo di investimento che, ricordiamolo, non offre una cedola periodica come per i BTP o i CCT, essendo gli interessi percepiti dall’investitore tutti insieme alla scadenza, dati dalla differenza tra prezzo di rimborso (alla pari) e prezzo di sottoscrizione (sotto la pari).

Benché il segmento dei CTZ non è mai stato oggetto di grandi acquisti da parte degli istituzionali e della BCE che in questi mesi sta acquistando titoli di stato italiani sul mercato – commentano dalla sala mercati della BNL – c’è da notare un maggiore interesse da parte dei piccoli risparmiatori (lotto minimo 1.000 euro) che stanno considerando questi strumenti finanziari alternativi ai depositi offerti dalle banche.

 

IL NO DELLA GERMANIA AGLI EUROBOND METTE IN FUGA GLI INVESTITORI

Con il protrarsi dei problemi, gli investitori cominciano a innervosirsi e mollare l’Europa, Germania compresa. Le tensioni sui debiti sovrani, difatti, non accennano a diminuire dopo la conferma del “nein” della Merkel al termine del summit di Strasburgo con Francia e Italia verso il lancio degli eurobond chiesti ormai da tutti i partner europei. (L’ostinazione di Frau Angela). Una negazione – riferiscono fonti di agenzia – che non riguarda solo gli eurobond, ma tutte le richieste che gli stati europei stanno cercando. Il differenziale fra Btp e Bund tedesco si è attestato poco sotto i 500 punti base e non accenna a diminuire alimentando così e sempre di più la speculazione internazionale contro l’euro. Segnali di difficoltà sul mercato dei capitali si sono avvertiti già alcuni giorni fa quando l’asta da 6 miliardi di euro di titoli di stato tedeschi a dieci anni è stata disertata dagli operatori istituzionali per oltre un terzo dell’ammontare costringendo la Bundesbank a intervenire per raccattare la parte invenduta. Del resto, con rendimenti al 2% che non coprono nemmeno l’inflazione reale, quasi nessuno se la sente di investire preferendo alternative al di fuori dei confini dell’Unione Europea. Come la Gran Bretagna, la Svezia o la Norvegia, paesi per i quali gli investitori stanno riscoprendo un rinnovato interesse, se non altro perché si tratta di stati estranei alle turbolenze che si sono venute a creare nell’area euro.

 

LA CINA IN SOCCORSO DELL’ITALIA, MA COSA VUOLE IN CAMBIO

China Investment Corporation (CIC). Questo è il nome del fondo sovrano cinese di cui sentiremo molto parlare prossimamente. Si fanno sempre più insistenti le voci di un aiuto della repubblica del dragone ai paesi europei in difficoltà. Del resto la Cina dispone di immense riserve valutarie (si stima oltre 3.000 miliardi di dollari) che potrebbero essere utilizzate per calmierare i mercati, al punto che un attento osservatore del giornale francese Le Monde la scorsa settimana aveva azzardato che dietro questi attacchi speculativi ci fosse proprio la Cina le cui mire espansionistiche commerciali in Europa sono note da tempo. Quindi, se da una parte i leader europei si stanno dimostrando più che lieti ad accogliere capitali cinesi nel vecchio continente, dall’altra qualche preoccupazione comincia a farsi sentire. Già, perché Pechino vorrà ottenere dall’Europa quanto meno un accordo per abbattere i dazi commerciali dell’export. Ma questo non sarebbe che l’inizio – commentano dall’ufficio studi di banca IMI – poiché la Cina vorrebbe soprattutto avere voce in capitolo sul mercato energetico in Europa, acquistando, tramite il CIC, quote rilevanti di importanti aziende energetiche che offrano nel tempo buoni ritorni economici.

 

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Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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