Le associazioni dei consumatori lanciano l’allarme: il caffè al bar rischia di costarci presto 1,50 euro e la colazione fuori casa diventerebbe non più alla portata di tutti. Il 2022 debutta tra caro bollette e frenata dell’economia italiana, come segnala anche il recente sondaggio condotto dalla Banca d’Italia tra le imprese. L’inflazione acquisita per quest’anno è già dell’1,9%. Significa che se i prezzi si manterranno stabili fino a dicembre, risulterebbero pur sempre cresciuti di quasi il 2% rispetto al 2021, anno in cui sono cresciuti dell’1,9% medio, ma segnando +3,9% a dicembre.
La stabilità dei prezzi non è più data per scontata come abbiamo creduto per decenni. E’ un bene prezioso che siamo riusciti a conquistare dopo un lungo periodo di instabilità. La storia d’Italia post-bellica può essere suddivisa in tre fasi. La prima nacque con l’Accordo di Bretton Woods del 1944 tra le potenze occidentali e consistette nel fissare i tassi di cambio contro il dollaro, quest’ultimo ancorato all’oro da un rapporto di $35 per oncia. Tra il 1947 e il 1971, anno in cui l’America di Richard Nixon pose fine a Bretton Woods, l’inflazione media italiana si attestò al 3,3%. Un tasso non solo basso, ma anche a fronte di una crescita economica che fu definita “miracolo”.
Nel 1971 iniziarono le sfortune dell’Italia. La lira, sganciata dal dollaro, collassò sui mercati. Le due crisi petrolifere del 1973 e del 1979 fecero il resto. In questa fase e fino al 1998, il cambio perse il 62% contro la valuta americana, mentre l’inflazione galoppò a una media del 10%. Dal 1999, l’euro sostituisce la lira come cambio ufficiale. Sono passati oltre venti anni, durante i quali la valuta si è mantenuta stabile contro il dollaro. Oggi, vale solamente il 3% in meno di 23 anni fa, fatta la conversione da lira ad euro. L’inflazione media annua è scesa, invece, all’1,7%.
Inflazione e stabilità del cambio
Stabilità del cambio e stabilità dei prezzi sono andati di pari passo. Per questo l’euro rappresenta una garanzia per tenere bassa l’inflazione. E, però, non basta. I tassi di cambio si mantengono relativamente stabili tra le grandi valute mondiali per il semplice fatto che tutte le principali banche centrali stanno da anni, e ben prima della pandemia, inondando i mercati di liquidità per stimolare proprio i prezzi e cercare più o meno apertamente di sostenere le relative economie. Questi stimoli monetari oramai divenuti imponenti e insostenibili hanno creato i presupposti per il ritorno dell’inflazione, una volta che anche i governi hanno dovuto offrire stimoli di natura fiscale a imprese e famiglie contro il Covid.
Se fino a qualche anno fa, l’euro sembrava essere condizioni sufficiente per garantire la stabilità dei prezzi, adesso non è più così. La BCE si è un po’ italianizzata nella gestione della politica monetaria, rifacendosi alle pratiche internazionali di istituti come la Federal Reserve. Un bene per stato, imprese e famiglie quando devono prendere denaro in prestito, un male per i consumatori quando devono fare la spesa. Il difficile equilibrio rischia di sfuggire presto di mano se la liquidità in eccesso non sarà drenata e il costo del denaro non salirà. La “pax” sui prezzi garantitaci dall’euro similmente al gold exchange standard di Bretton Woods volgerebbe altrimenti al termine.