Il caso Marmite
Il caso emblematico in queste ore è la crisi nei rapporti tra la catena commerciale britannica Tesco e il colosso internazionale Unilever, che rifornisce alla prima svariati marchi, tra cui una famosa crema spalmabile, la Marmite, molto popolare e apprezzata dai consumatori di Sua Maestà, nonostante sia sconosciuta nel resto d’Europa, specie al Centro e al Sud. Per farvi comprendere dell’importanza di questo prodotto per le famiglie nel Regno Unito, possiamo affermare che la crema Marmite stia ai consumatori britannici come la Nutella a quelli italiani.
Ora, perché parliamo di questo? Perché Unilever ha sospeso momentaneamente le relazioni commerciali con Tesco, dopo averle chiesto infruttuosamente di alzare i prezzi su una serie di marchi del 10%, a causa dell’indebolimento della sterlina, che renderebbe più costose le importazioni. Tesco si è rifiutata di agire ai danni della clientela, anche perché deve affrontare la concorrenza di altre catene, come Aldi e Lidl. Di più: la Marmite è prodotta in patria, per cui come si fa a giustificare agli occhi dei consumatori una stangata?
Il cambio non influisce solo sull’import-export
In teoria, avrebbe ragione Tesco. Se un prodotto viene fabbricato in loco, non si capisce perché mai debba risentire delle oscillazioni del cambio. Il fatto è che i bilanci di Unilever, che è una multinazionale anglo-olandese, sono pubblicati in euro, per cui l’indebolimento della sterlina comprime i suoi utili, indipendentemente che i beni venduti a Tesco siano di produzione britannica o meno. Infatti, i ricavi in sterline valgono adesso molto di meno in euro, per cui serve alzare i prezzi (in sterline), al fine di compensare almeno parzialmente il crollo del cambio.
Il caso Marmite spiega benissimo la complessità delle interazioni tra le variazioni del cambio e quelle dei prezzi interni a un’economia. Andiamo aldilà dell’import-export, comprendendo tutta una serie di relazioni industriali transfrontalieri, di cui il Regno Unito è stato ad oggi maestro.