Inizieremo a preoccuparci sullo status di riserva mondiale del dollaro solo quando vedremo lunghe file di giovani cervelli in cerca di visto davanti ai consolati di Brasile, Russia, Iran e Cina.
Queste sono le parole di Nassim Nicholas Thaleb, un saggista di origini libanesi che così ha commentato l’annuncio ufficioso dei BRICS sulla volontà di creare una “nuova moneta” in alternativa allo strapotere del dollaro. La dichiarazione è arrivata in settimana dal vice-presidente della Duma russa, Alexander Babakov, secondo cui essa sarebbe agganciata all’oro o altre materie prime come le terre rare.
BRICS in cerca di alternative al dollaro
Per BRICS intendiamo le grandi economie emergenti di questo nuovo secolo: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. L’acronimo risale agli inizi del millennio e già sembra superata dagli eventi. Altri attori si sono nel frattempo affacciati sul mercato globale. Ad ogni modo, esso capta bene il blocco geopolitico che si sta sempre più delineando, specie in Asia, con accelerazione da quando la Russia ha invaso l’Ucraina e l’Occidente si è schierato con il paese attaccato.
Il dollaro incide ancora per quasi il 60% delle riserve valutarie globali. L’euro si attesta ad una percentuale nettamente inferiore, intorno al 20%. Il potere del dollaro è dato dalla sicurezza che esso garantisce ai mercati globali. Gli Stati Uniti sono una potenza aperta ai capitali esteri, con una legislazione liberale, sono considerati massimamente affidabili sul piano economico e finanziario, con un debito pubblico che nessuno mette mai seriamente in discussione.
Svolta con guerra Russia-Ucraina
Vita durissima per una qualsivoglia moneta con l’ambizione di assurgere ad alternativa al dollaro, cioè al sistema finanziario di cui è frutto. BRICS o meno, scalzare oggi come oggi la valuta americana dal primato appare un’utopia. Oggi. In un domani non vicino, le cose potrebbero cambiare.
All’infuori dell’Occidente, questa azione è stata avvertita come una minaccia al sistema di relazioni finanziarie sin qui adottato. L’approccio “rules-based” su cui è stato impostato da sempre la finanza dollaro-centrica aveva reso ogni alternativa di gran lunga meno credibile. Ma se Stati Uniti ed Europa iniziano ad “espropriare” gli asset finanziari appartenenti a soggetti e potenze considerati nemici, le differenze con i BRICS a guida sino-russa si assottigliano. Ed ecco che l’idea di una nuova moneta che possa scalfire lo status del dollaro non sembra più così peregrina in Asia.
Sogno americano minacciato?
Lo stesso Babakov ha evidenziato come il primo passo sia stato stringere accordi bilaterali per regolare gli scambi in valute locali e non più necessariamente in dollari. Si pensi agli accordi tra Russia e India o tra Cina e Arabia Saudita. Piccoli segnali, per il momento non estremamente significativi e tali da intimorire Washington. Ma se è vero che una superpotenza deve ragionare in prospettiva, guardando ai decenni e non ai mesi, gli Stati Uniti dovrebbero iniziare a fare ordine al loro interno. Decenni di stamperie monetarie hanno supplito una politica fiscale disordinata. L’idea di crescere ammassando debiti su debiti, nel settore privato come nel pubblico, non è sostenibile. Non lo è perlomeno pensando di mantenere lo status di emittente della valuta di riserva mondiale.
Quando economie concorrenti come la Cina, tra l’altro ricche di materie prime, saranno giunte a uno stadio di maturazione, nel mondo molti stati tra Asia, Africa e Sud America inizieranno a interrogarsi circa la solidità di un dollaro stampato senza una logica di mercato.