Vladimir Putin si sta rendendo responsabile di eccidi ai danni della popolazione ucraina, oltre che di una guerra insensata e scatenata senza che fosse arrivata alla Russia alcuna minaccia da nessuno. E il Cremlino è stato artefice in questi mesi anche dell’assassinio dell’euro. Il grafico sul cambio euro-dollaro nell’ultimo anno non mente. Il cross tra le due valute si mostrava stabile a 1,14 rispetto a inizio 2022 nelle sedute precedenti all’invasione dell’Ucraina. Da giorni, invece, è sceso sotto la parità e, a tratti, persino sotto 0,99. Mai così in basso dal 2002.
La Russia piccona la moneta unica
Abbiamo scritto più e più volte sulle ragioni di questa discesa. Mentre la Federal Reserve alza i tassi d’interesse americani, la BCE non può farlo con la stessa convinzione. L’economia nell’Eurozona è messa male a causa della crisi energetica scatenata in gran parte da Putin. La Russia da mesi riduce le forniture di gas all’Europa per punirla del suo sostegno all’Ucraina e per via delle sanzioni finanziarie durissime imposte contro Mosca. Il risultato è che il continente appare paralizzato, stretto nella morsa dell’inflazione e della crisi.
C’è una ragione un po’ meno immediata per la quale il cambio euro-dollaro sarebbe sceso a livelli così infimi. Essa ha a che fare con la stessa sopravvivenza dell’euro, oggi più minacciata che mai. Vi ricorderete senz’altro gli anni della crisi dei debiti sovrani. Era il triennio 2010-’12 e la moneta unica fu sull’orlo di sparire per via degli spread esplosi in tutto il Sud Europa. Provvidenziale l’intervento di Mario Draghi, allora governatore della BCE, per mezzo del suo storico “whatever it takes”.
Senza voler sminuire tali meriti, la crisi dell’euro rientrò gradualmente per la semplice ragione che nessun governo al tempo voleva tornare alle monete nazionali. Sull’euro fu stato investito fin troppo capitale politico per tutti gli anni Novanta e i primi anni Duemila.
Cambio euro-dollaro segnale di crisi geopolitica
La Germania può chiudere un occhio dinnanzi ai bilanci disordinati di paesi come Italia, Francia e Spagna. E’ disposta a tollerarli in cambio di un’architettura economica e geopolitica che le consente di esportare e prosperare. I tedeschi da soli prima dell’euro erano considerati “gigante economico e nano politico”. Berlino – anzi, Bonn fino al 1990 – contava poco. L’euro rappresenta il primo tassello di una costruzione anche politica, teoricamente capace di garantire ai propri membri benefici futuri ancora maggiori. In virtù di ciò, ciascun paese ne accetta i costi: il Sud Europa in termini di vincoli di bilancio, il Nord Europa di partecipazione a forme di spesa comune. Pensate al Recovery Fund sotto la pandemia.
Ma se la prospettiva geopolitica viene meno, crolla l’impalcatura su cui si regge l’euro. Se l’Europa perdesse il confronto con la Russia, un minuto dopo qualcuno alle riunioni di Bruxelles alzerebbe il dito e chiederebbe agli altri presenti in sala: “scusate, per quale diamine di motivo stiamo ancora insieme?”. I costi inizierebbero ad essere percepiti superiori ai benefici e poco a poco nessuno li accetterebbe più. Il Sud Europa si solleverebbe contro i vincoli di bilancio, il Nord Europa contro l’indebitamento comune. Ognuno andrebbe per conto suo, a partire da chi ritiene di poterselo permettere, vale a dire la Germania. Se tanto mi dà tanto, meglio giocare da soli che tirarsi dietro una palla al piede, penserebbero i tedeschi.