Saranno giorni impegnativi per le aste del Tesoro, che punta a raccogliere da qui al 18 gennaio fino a un massimo di 9,25 miliardi di euro con l’emissione di titoli di stato a medio-lungo termine. Tra questi, vi è la nuova scadenza a 7 anni. E’ il BTp 15 marzo 2028 e con cedola 0,25%, il cui codice ISIN è ancora da attribuire. Verrà collocato sul mercato per un importo minimo di 4 miliardi e uno massimo di 4,5 miliardi. Si tratta di un bond interessante per la sua durata residua, in quanto rappresenta la vita media ponderata del debito pubblico italiano e, in un certo senso, ne sintetizza il costo.
Cosa faccio se ho BTp in portafoglio?
Ad ogni modo, abbiamo già titoli di durata residua molto simile a quello di nuova emissione. Ad esempio, vi è il BTp 1 febbraio 2028 e cedola 2% (ISIN: IT0005323032), che in queste ore si acquista a 112, esitando un rendimento lordo in area 0,26%. Ne consegue che la nuova scadenza dovrebbe essere collocata intorno o poco sotto la pari.
Differenze con l’attuale scadenza a 7 anni
Qual è la differenza tra i due bond? Come avrete visto, la cedola. Il nuovo bond offrirà un tasso d’interesse molto basso, 8 volte inferiore a quello del bond circolante. Tuttavia, il prezzo di quest’ultimo infligge alla scadenza una forte minusvalenza, pari al 10,7% e che nei fatti deprime il rendimento dell’1,52% su base annua. Essa dà vita a un credito d’imposta dell’1,34% a favore dell’obbligazionista, che dovrà essere compensato con eventuali plusvalenze finanziarie della stessa natura entro il quinto anno successivo, altrimenti va perduto.
Ha senso comprare il BTp 15 marzo 2028? Dipende dall’obiettivo. Se si vuole semplicemente inserire in portafoglio un titolo sicuro, allora sì. Se si punta alla redditività, non farebbe al vostro caso. Anzitutto, perché tra tassazione del 12,50% della cedola e imposta di bollo sul conto titoli dello 0,20%, nei fatti il rendimento netto effettivo risulterà nullo.
Infine, c’è il fattore inflazione. Percepire un tasso lordo teorico dello 0,25% a fronte di prezzi al consumo in calo può risultare, tutto sommato, accettabile per il semplice fatto che almeno il capitale investito non perde potere di acquisto. Ma con un’inflazione positiva e anche solo tendente verso l’1%, il rendimento non solo non riuscirebbe a tenervi testa, ma alla scadenza ci si ritroverebbe con un capitale svalutato rispetto alla data di investimento. Insomma, sarebbe sostanzialmente come lasciare il denaro parcheggiato sul conto corrente.
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