Investire in titoli di stato o portare i soldi in banca? Un dilemma dinnanzi al quale si saranno ritrovati tanti italiani e sul quale i numeri hanno da tempo emesso una sentenza piuttosto chiara. In questa sede, vogliamo proporvi il caso del BTp novembre 2026 e cedola 7,25% (ISIN: IT0001086567). Già avrete notato che offra un tasso d’interesse altissimo, di quelli che non se ne vedono da moltissimi anni. Ed è, in effetti, così.
Questo titolo fu emesso per la prima volta nel lontanissimo 1996, cioè esordì sul mercato obbligazionario come un trentennale.
Nell’ultimo anno, il BTp 2026 si è leggermente indebolito. La sua quotazione è scesa da 139 a poco meno di 138. Tutto sommato, possiamo affermare che abbia tenuto botta. Al contempo, però, l’investitore ha potuto riscuotere la maxi-cedola del 7,25% lordo, pari al 6,34% netto. Rapportata al valore dell’investimento effettivo (139), avrebbe reso il 4,56% netto in 12 mesi. Detratta la perdita netta dello 0,69% legata alla minusvalenza, il saldo dell’operazione sarebbe stato di quasi il 3,9%. Non male per un bond di durata medio-lunga e praticamente sicuro, essendo emesso dallo stato italiano.
Considerate che il conto corrente avrebbe reso nello stesso periodo di tempo oltre 100 volte in meno, se è vero che nel luglio 2020 il tasso d’interesse medio offerto dalle banche fosse di appena lo 0,03%. Certo, investire nel BTp 2026 comporterebbe un rischio di liquidità da non sottovalutare. Da inizio anno, sono stati effettuati sul Mercato obbligazionario Telematico di Borsa Italiana scambi per appena 334 milioni di euro, circa il 3% del valore nominale emesso dal Tesoro. Parliamo di una media dello 0,5% al mese.
In sostanza, il BTp 2026 è molto poco trattato sul mercato obbligazionario.