Era il febbraio del 2019, quando il Tesoro emetteva il nuovo bond “benchmark” a 30 anni. Parliamo del BTp 1 settembre 2019 e cedola 3,85% (ISIN: IT0005363111). Il rendimento lordo esitato dal collocamento fu intorno alla cedola. In quella fase, emettere debito trentennale a costi vicini al 4% era normale. E ci stiamo riferendo a meno di due anni e mezzo fa. Eppure, sembra che sia trascorso un secolo, se è vero che ieri lo stesso bond offriva un rendimento dell’1,45%, la metà.
Il rialzo dei prezzi per il BTp 2049 iniziò proprio nelle settimane successive al suo collocamento sul Mercato obbligazionario Telematico di Borsa Italiana.
Il BTp 2049 raggiunse il suo culmine nel dicembre 2020, in conformità al resto dei bond. Allora, la quotazione sfiorò 160. Ieri, era a poco meno di 149. Dalla sua emissione, quindi, guadagna il 48% lordo. Al netto della tassazione del 12,5%, il guadagno sarebbe comunque del 42%. Ad esso bisogna sommare l’incasso delle cedole, piuttosto corpose. In quasi 2 anni e mezzo, esse avrebbero inciso per oltre il 9% dell’investimento. Al netto della tassazione, farebbero più dell’8%. In totale, otteniamo che, tra rivalutazione del capitale e cedole, l’obbligazionista avrebbe maturato un guadagno netto del 50%.
Tutto questo non è solo clamoroso per la brevità del periodo in cui è avvenuto, ma anche per la tipologia dell’asset in portafoglio. Il BTp 2049 è un titolo di stato e, in quanto tale, relativamente sicuro. Ma il mercato tratta i nostri bond sovrani un po’ come fossero asset a rischio per via dell’altissimo indebitamento pubblico e della poco rassicurante politica nazionale. In pratica, ogni anno il Tesoro si ritroverà a versare agli obbligazionisti fino alla scadenza cedole ben più elevate di quelle che pagherebbe loro se l’emissione fosse avvenuta oggi.