Non è un buon momento per i titoli di stato italiani. Nelle ultime sedute, le quotazioni sono scese e contestualmente i rendimenti sono risaliti. Il punto di svolta è arrivato l’11 giugno scorso, quando gli USA hanno diffuso i dati sull’inflazione a maggio, risultata ai massimi da 12 anni, al 5% e sopra le attese. Inevitabile il contraccolpo anche per il BTp 2051 e cedola 1,7% (ISIN: IT0005425233), il bond a 30 anni del Tesoro. Da allora, si è deprezzato del 2,7% e ha visto salire il rendimento all’1,91%.
Dunque, chi compra oggi il BTp 2051 riesce a portare a casa un rendimento netto annuo dello 0,20% più alto. Nell’arco dei 30 anni e rotti di investimento, sarebbe oltre il 6% in più. Pesante il bilancio da inizio anno: -10% per la quotazione, che debuttava in questo 2021 a 106,50, mentre oggi è crollata a poco più di 96 centesimi.
BTp 2051 e il trend globale
A cos’è dovuto il trend più recente? Nelle tre settimane precedente alla pubblicazione del dato sull’inflazione USA, il BTp 2051 aveva segnato un rialzo dell’8,5%. I timori sulla reflazione globale in corso si erano sopiti sulle rassicurazioni delle principali banche centrali che si trattasse di un fenomeno passeggero. Tuttavia, il dato americano ha acceso i fari sul tema e la scorsa settimana è arrivato il board della Federal Reserve a confermare che prima o poi i governatori centrali saranno costretti a intervenire per non surriscaldare eccessivamente le rispettive economie.
La prospettiva di un rialzo dei tassi è diventata più concreta che mai, per quanto non prossima. Gli USA dovrebbero alzare il costo del denaro un paio di volte entro la fine del 2023. In realtà, ci sarebbero tempo e modo per guidare i mercati verso una stretta monetaria ancora più decisa, ove necessario. Fino a qualche mese fa, neppure si pensava che da qui a 2-3 anni la FED avrebbe alzato i tassi.