Se volessi investire a medio-breve termine, puntando sulla scadenza triennale, quali possono essere le soluzioni disponibili sul mercato sovrano italiano? Per prima cosa, notiamo che da giorni i rendimenti dei bond non fanno che salire. In un paio di settimane il BTp a 10 anni è passato dall’offrire poco più del 4% all’attuale 4,28%. C’è un tendenziale aumento globale che deriva dal fatto che l’inflazione resti persistente presso le grandi economie, mentre il mercato del lavoro continua a mostrarsi solido. Non c’è più bisogno di spostarsi sul tratto lungo della curva per ottenere rendimenti accettabili.
Ma esistono diversi bond triennali, c’è solo da scegliere. E noi vi presentiamo due soluzioni tra loro estreme. In che senso? Presentano lo stesso rendimento, ma a fronte di prezzi profondamente differenti. Capirete subito perché.
Soluzione zero coupon
Il primo BTp a 3 anni che vi proponiamo ha scadenza 1 agosto 2026 ed è uno zero coupon (ISIN: IT0005454241). La sua emissione risale all’estate del 2021, quando debuttò sul mercato come un bond quinquennale. Sembra incredibile che così poco tempo fa il Tesoro italiano fosse in grado di rifinanziarsi a cinque anni ad interessi zero. Le condizioni monetarie erano del tutto differenti. La Banca Centrale Europea teneva ancora i tassi azzerati e sui depositi bancari fissava il -0,5%. Oggi, i tassi di riferimento sono al 4,25% e sui depositi bancari al 3,75%.
Questo BTp a 3 anni senza cedola quotava ieri a meno di 90 centesimi. Infatti, l’obbligazionista non vedrà il becco di un quattrino fino alla scadenza. Pertanto, il suo unico rendimento sarà dato dalla differenza tra prezzo di rimborso o di disinvestimento anticipato e prezzo di emissione o acquisto sul mercato secondario. A quel prezzo, il rendimento risultava essere del 3,57% lordo.
BTp 3 anni con maxi-cedola
A questo punto, è arrivato il momento di presentarvi un altro BTp a 3 anni con caratteristiche diametralmente opposte.
C’è una notevole differenza, però, riguardo al fatto che qui l’obbligazionista incassa una cospicua cedola ogni sei mesi. Su base annua, rapportata al prezzo dell’investimento, essa equivale al 6,53%. Al netto dell’imposta, fa ancora il 5,715%. Certo, alla scadenza l’obbligazionista subirà una perdita di quasi il 10%. Essa è determinata dal minore valore di rimborso rispetto al capitale investito. In conseguenza di ciò, il rendimento medio annuo scende ai livelli del BTp a 3 anni senza cedola. Tuttavia, con un’inflazione italiana ancora altissima siamo sicuri che le due soluzioni possano considerarsi effettivamente equivalenti? Non sarebbe più opportuno incassare durante l’investimento un flusso di reddito da reinvestire a tassi relativamente elevati o anche solo per alimentare i propri consumi, messi a dura prova dalla perdita del potere di acquisto?