E’ stata una settimana complicata per i titoli di stato italiani. Lo spread a 10 anni è salito fino a superare i 120 punti base, salvo rientrare sotto 115 nella seduta di venerdì. A farne le spese sono state naturalmente le scadenze più lunghe, tra cui il BTp a 30 anni. Il bond ha scadenza 1 settembre 2051 e cedola 1,7% (ISIN: IT0005425233). Ha concluso l’ottava con un rendimento lordo sopra il 2%. Ma la vera notizia è che dopo avere toccato il suo minimo storico nella giornata di lunedì, la quotazione ha segnato un rialzo del 3%.
Il bilancio è negativo quest’anno. Rispetto ai massimi toccati a metà febbraio, il BTp a 30 anni risulta deprezzatosi del 12,7%. Un crollo pesante, che risente inevitabilmente del “sell-off” ai danni del mercato obbligazionario di questi mesi. Gli investitori scontano una ripresa veloce dell’inflazione. E ciò sta effettivamente avvenendo presso le economie avanzate, e non solo. Negli USA, i prezzi al consumo sono cresciuti del 4,2% in aprile su base annua. Nell’Eurozona, dell’1,6%.
Non solo (giustamente) pretendono rendimenti nominali più alti per tenere il passo con la perdita del potere d’acquisto. Essi temono anche un taglio degli acquisti di bond da parte delle banche centrali. E il “tapering” finirebbe per accentuare il rialzo dei rendimenti, cioè il crollo delle quotazioni. Fatto sta che adesso il BTp a 30 anni rende quasi l’1,80% al netto della tassazione. La stessa cedola netta effettiva, vale a dire rapportata al prezzo di acquisto, sfiora l’1,60%. Ai tassi d’inflazione attualmente vigenti in Italia, saremmo nelle possibilità di più che coprire la perdita del potere di acquisto. Il tasso netto reale viaggia, infatti, intorno al mezzo punto percentuale. Quanto al rendimento netto reale, cioè comprensivo della plusvalenza alla scadenza, raggiunge quasi lo 0,7%.
Ma è bene comprendere che la caduta del BTp a 30 anni non sarebbe finita. Nei prossimi mesi e anni, tra reflazione e riduzione degli stimoli monetari, le obbligazioni con “duration” elevata continueranno a ripiegare.