Il 2022-2023 passerà alla storia come il biennio “horribilis” per il mercato obbligazionario globale. L’inatteso ritorno dell’inflazione ha fatto esplodere i rendimenti lungo la curva delle scadenze, passati in breve tempo da valori negativi ai massimi da un quindicennio a questa parte. I titoli di stato più longevi ne hanno pagato il prezzo più alto. Eppure non tutti sono crollati. Prendete il BTp a 30 anni in dollari USA. Emesso due anni fa dal Tesoro con scadenza 6 maggio 2051 e cedola 3,875% (ISIN: US465410CC03), grosso modo ha tenuto la quotazione di un anno fa.
Differenza tra cedole effettive e rendimenti
Il BTp in dollari a 30 anni quota in queste ultime sedute in area 63,50 centesimi, ben sopra i circa 51 centesimi dell’omologo in euro. Questo significa che la cedola netta effettiva risulta essere del 5,35% contro il 2,90%. Essa si ottiene rapportando la cedola alla quotazione a cui avviene l’acquisto del bond, escludendo la tassazione. Quello che possiamo considerare il nostro rendimento immediato è del 2,45% più alto nella versione in dollari. Quanto al rendimento alla scadenza, siamo di fronte al 6,96% contro il 5,06%. Anche in questo caso il BTp in dollari batte il concorrente in euro dell’1,90%.
Infine, lo spread con il T-bond a 30 anni degli Stati Uniti viaggia in area 190 punti base o 1,90%. Siamo all’incirca sugli stessi livelli di differenza tra il BTp a 30 anni in euro e il Bund di pari durata. In questi numeri, però, non abbiamo tenuto sinora conto di un dato: il rischio di cambio. Il premio offerto dalla scadenza in dollari rispetto a quella in euro è dovuto proprio al fatto che il cambio euro-dollaro può in futuro andare nella direzione opposta a quella da noi desiderata. Se il dollaro perde valore contro l’euro, il nostro capitale investito si deprezzerebbe alla scadenza o alla data del disinvestimento anticipato.
Rischio di cambio impatta su BTp in dollari 30 anni
Ad esempio, è vero che nell’ultimo anno il BTp in dollari a 30 anni sia rimasto quasi invariato in termini di prezzo, ma il dollaro ha perso circa il 4,5% contro l’euro nello stesso frangente. Resta il bilancio più che positivo rispetto al bond in euro, che, come detto, ha segnato un tracollo del 14%. Anzi, considerato lo stacco delle cedole, saremmo persino riusciti ad azzerare del tutto le perdite effettive. Ma nei prossimi anni potrebbe non essere più così. Ricordiamoci che prima della crisi finanziaria del 2008, il cambio euro-dollaro si attestava a 1,60 e ancora nella primavera del 2014, prima che la Banca Centrale Europea svoltasse in politica monetaria, era a 1,40. Da qui a 30 anni, quindi, tante variazioni nell’uno o nell’altro senso potranno avvenire.