Persino il Perù ha potuto permettersi nei giorni scorsi di collocare sui mercati internazionali un bond a 100 anni in dollari con rendimento abbastanza contenuto (3,30%), il più basso per un emittente emergente su questa scadenza. In Europa, il caso più famoso è quello dell’Austria, che sui 100 anni ha ben due scadenze: una nel settembre 2117 e l’altra nel giugno 2120. Man mano che negli ultimi anni i tassi di mercato si sono abbassati, sempre più governi ne hanno approfittato per emettere debito dalla maggiore longevità.
A dire il vero, gli stati con rating AAA non hanno alcun incentivo ad emettere debito a lunghissima scadenza. Essi possono rifinanziarsi sul mercato a costi molto bassi e in ogni fase. Quando le cose si mettono male sul piano finanziario, paradossalmente riescono a spuntare rendimenti inferiori per la natura di “porti sicuri” dei loro titoli. L’Italia, però, non fa parte di questo club esclusivo, anzi ha un rating medio-basso per i suoi BTp, cioè l’ultimo gradino dell’area “investment grade”. Se non fosse stato per il soccorso offerto dalla BCE in piena pandemia, dati i pessimi dati fiscali, i bond tricolori sarebbero stati quasi certamente declassati a “spazzatura”.
Il Tesoro non ha annunciato alcun piano per l’emissione di un BTp a 100 anni. Questo non significa che non ci stia pensando. I rendimenti sovrani italiani sono scesi ai minimi di sempre lungo la curva.
Perché il Tesoro non emette un BTp a 100 anni?
Quale cedola per un eventuale BTp a 100 anni?
La risposta potrebbero darcela i titoli esteri. Il bond a 100 anni dell’Austria oggi rende ormai meno dello 0,35%, praticamente quanto la scadenza a 50 anni e sopra di circa 25 punti base a quella a 30 anni. Ma l’Italia non è l’Austria, perché presenta condizioni di rischio più simili a quelle del Messico, che sui 100 anni (in dollari) offre il 3,43%, un pelo sopra il trentennale (sempre in dollari) al 3,39%. In soldoni, quale che sia la situazione del rating, sembra che la curva sovrana tenda ad appiattirsi sul tratto ultra-lungo. Il mercato smetterebbe di pretendere rendimenti più alti, man mano che si passa dai 30 ai 50 e ai 100 anni. Questo ci consentirebbe, in teoria, di emettere un BTp a 100 anni con cedola non troppo superiore al rendimento dell’1,55% offertoci dal BTp 2067.
Certo, a causa della maggiore volatilità a cui un titolo di così lunga durata esporrebbe l’obbligazionista e tenuto conto che si tratterebbe di testare una scadenza nuova, per cui inizialmente illiquida, dovremmo attenderci una cedola in area 1,75%. Se così fosse, sarebbe pur sempre un costo infimo, di oltre 100 punti base inferiore rispetto al tasso del BTp 2067. D’altra parte, il Tesoro si vincolerebbe a corrispondere per 100 anni una cedola oggi come oggi molto bassa, ma chissà se in futuro avrebbe modo di spuntare condizioni ancora migliori.