Tra le opportunità di investimento redditizie, oggi vi proponiamo il BTp marzo 2048 e cedola lorda 3,45% (ISIN: IT0005273013). Trattasi di un bond quasi trentennale, che venerdì scorso si acquistava sul mercato secondario a 133,60 centesimi. Se considerate che in aprile era arrivato a scendere sotto 110, la quotazione da allora ha guadagnato il 21,5%, pur perdendo qualcosa rispetto all’apice del tardo agosto, quando era arrivata a 135,30.
Ai prezzi attuali, offre un rendimento lordo dell’1,67%, che al netto si riduce all’1,46%. Basso, ma non così poco per un titolo nei fatti sicuro, dati i tempi.
La cedola è molto ghiotta, sebbene rapportata all’esborso effettivo si ridurrebbe al 2,26% annuo. Infatti, per acquistare 1.000 euro nominali del BTp 2048 servirebbe spenderne 1.336 euro. Questo significa che i 34,50 euro all’anno di interessi lordi che incasseremmo renderebbero il 2,58% dell’investimento. Al netto dell’imposta, scenderebbe per l’appunto al 2,26%, cioè 30,1875 euro su ogni 1.336 euro sborsati.
Alla scadenza, poi, il Tesoro non ci restituirebbe quanto speso, ma i 1.000 euro nominali. Da qui, la minusvalenza del 25,15%, che spalmata per i 27,49 annui residui dell’investimento sottrarrebbero al rendimento un altro 0,91% lordo, pari allo 0,80% netto. Ed ecco che otteniamo proprio l’1,46% di cui sopra.
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Opportunità e rischi
Chi acquista questo titolo, lo farebbe essenzialmente per un paio di ragioni. La prima, per impiegare liquidità a lungo termine a rendimenti accettabili, se si considera che ancora oggi il “benchmark” trentennale tedesco si aggira attorno a un rendimento nullo. La seconda, per posizionarsi in vista di un possibile miglioramento dei prezzi, dato che dalla Federal Reserve è arrivata la conferma che i tassi resteranno bassi a lungo, anche nel caso in cui l’inflazione superasse il target.
Se il confronto con il Bund di pari durata non sembra possibile, data la natura di “safe asset” di questi, potremmo effettuare un raffronto con i Bonos spagnoli, che sulla medesima scadenza offrono circa l’1,10% lordo.
Il principale rischio per questi titoli lunghi si chiama reflazione. Se i prezzi tornassero a crescere repentinamente, contestualmente al rimbalzo del pil atteso già da questi mesi, il mercato sconterebbe una politica monetaria meno accomodante, a meno che dalla BCE non arrivassero segnali simili a quelli espliciti lanciati dalla Fed a fine agosto.
E a farne le spese sarebbero proprio i bond più longevi, i cui prezzi cederebbero per consentire ai rendimenti di lievitare fino ai livelli pretesi dagli obbligazionisti. A quel punto, la strategia rialzista, almeno nel breve e medio periodo, andrebbe a farsi friggere e si sarebbe costretti o a diventare investitori cassettisti o a rivendere il bond in perdita.
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