Non eravamo abituati più a vedere titoli di stato emessi con cedole generose. I bassissimi rendimenti degli anni passati ci avevano convinti che avremmo dovuto per sempre accontentarci degli zero virgola. E’ bastato il ritorno improvviso dell’inflazione a rimettere tutto in discussione. In ogni caso, non siamo di certo tornati ai tempi della lira, quando le emissioni avvenivano a tassi di interesse oggi considerati spropositati. A giorni giunge a scadenza un BTp della durata iniziale di 30 anni, vale a dire collocato sul mercato nel novembre del lontano 1993 (ISIN: IT0000366655).
Il BTp in scadenza fu emesso ad un prezzo di 93,75 centesimi. La cedola, al netto dell’imposta del 12,50%, valse così l’8,4% effettivo. E l’1 novembre prossimo, l’obbligazionista che avesse acquistato il bond all’emissione, riporterà un guadagno in conto capitale di quasi il 6% netto. In definitiva, il titolo di stato ha offerto un rendimento netto superiore all’8,50% all’anno. C’è il fattore inflazione di cui tenere ancora conto. Tra la data di emissione ed oggi, essa è stata in totale meno del 90%. Detraendo questa “tassa” occulta, otteniamo che il rendimento netto reale dell’investimento avrebbe sfiorato il 6,5% all’anno.
BTp in scadenza, rendimenti reali altissimi
Per essere chiari, il BTp in scadenza ha offerto grosse soddisfazioni agli obbligazionisti. A titolo di confronto, se la stessa cifra fosse stata investita nella borsa italiana, oggi il capitale risulterebbe di gran lunga inferiore a quello ottenuto puntando sul bond. Chiaramente, è probabile che in pochissimi abbiano acquistato l’allora BTp a 30 anni per tenerlo fino alla scadenza. Nell’arco dei decenni si saranno liberati in tanti del bond per fare spazio nel portafoglio ad asset considerati più promettenti. A posteriori, risulta difficile credere che sia stata una scelta saggia.
Certo, dovete anche considerare che negli anni passati, quando i rendimenti erano molto bassi, i prezzi erano diventati molto appetibili per non approfittarne. La quotazione del BTp in scadenza arrivò a sopra 136 nel settembre del 2019. Chi allora rivendette il bond, maturò un guadagno in conto capitale del 45% rispetto all’emissione. Di fatto, corrispondente a cinque anni di maxi-cedole incassate. Attualmente, la quotazione tratta appena sopra la pari ed è perfettamente naturale che si porti a 100 entro la scadenza dell’1 novembre.