Da alcuni anni non si parla granché più di Buoni fruttiferi postali. Nella mente di molti di noi, sono diventati strumenti di impiego del risparmio un po’ vetusti e a dir poco non remunerativi. Hanno fatto la storia e la gloria delle famiglie nei decenni passati, quando staccavano interessi elevati e consentivano a tutte le tasche di maturare guadagni facili e senza alcun rischio. Stiamo parlando dei buoni regalati dai nonni ai nipoti, del modo in cui milioni di padri e madri di famiglia cercavano di mettere a frutto i loro sacrifici guardando al futuro.
Buoni fruttiferi postali: i rendimenti più alti di inizio ottobre 2020
Eppure, i Buoni fruttiferi postali stanno diventando un po’ meno obsoleti negli ultimi tempi. I bassissimi rendimenti offerti dai titoli obbligazionari riportano automaticamente l’attenzione su questi strumenti. I Bfp 3 x 4, ad esempio, stanno risultando più interessanti di quanto crediamo. Essi offrono la possibilità di investire fino a un massimo di 12 anni, a scatti triennali. Per i primi 3 anni, si ottiene un tasso d’interesse dello 0,10% lordo annuale. Per il secondo triennio, il tasso sale allo 0,20%. Per il terzo, allo 0,50% e, infine, all’1%.
Il risparmiatore può disinvestire quando vuole. Otterrà sempre il capitale per intero e gli interessi maturati fino all’ultimo triennio prima della data del rimborso. Ad esempio, se ho investito 1.000 euro e al quinto anno chiedo indietro i miei soldi, Poste Italiane mi restituirà il capitale e gli interessi maturati fino al terzo anno. Dunque, avrò perso gli interessi dopo il terzo anno e fino alla data del rimborso.
Bfp e BTp non così simili
Ci sono svariate differenze con i BTp, fatto salvo il medesimo grado di sicurezza. I Bfp sono emessi da Cassa depositi e prestiti, ente controllato dal Tesoro, e collocati sul mercato tramite Poste Italiane.
Anzitutto, sui Bfp si possono investire anche somme irrisorie, cioè da 50 euro e multipli. I BTp presuppongono almeno un capitale minimo di 1.000 euro. Come detto, il capitale viene sempre restituito per intero, mentre il Tesoro lo rimborsa solamente alle scadenze prefissate. Se si vuole disinvestire da un BTp, quindi, si deve rivenderlo ad altri privati, magari attraverso il mercato secondario, esponendosi al rischio della quotazione. Questa potrà anche risultare inferiore a quella di acquisto/emissione, infliggendoci una perdita.
BTp Futura e Buoni fruttiferi postali, similitudini e differenze per i risparmiatori
Interessi calcolati diversamente
Lo stesso calcolo degli interessi è diverso. Nel caso dei Bfp, il tasso è composto, cioè matura gli interessi sugli interessi. Questo, per la semplice ragione che le cedole dei BTp ci vengono erogate periodicamente (ogni 6 mesi) e abbiamo modo così di reinvestirle a nostro piacimento, mentre gli interessi del Bfp ci vengono corrisposti solo alla data del disinvestimento, per cui l’emittente si preoccupa di metterli a frutto per conto nostro. E così, se investo 1.000 euro, dopo 12 anni mi ritroverò accreditato non il 12% lordo, bensì il 12,68%, pari al 9,86% netto. Dunque, i rendimenti dei BTp non sono immediatamente comparabili con i tassi dei Bfp. Nel caso del Bfp 3 x 4, poi, ci troviamo dinnanzi a tassi crescenti con scatto triennale, un po’ come le cedole step-up per i BTp, ma con meccanismo retroattivo. Se ci fermassimo al terzo anno, otterremmo un interesse lordo dello 0,10% annuale; al dodicesimo anno, otterremmo l’1% lordo annuale a partire dall’inizio. Dunque, più dura e più l’investimento frutta.
Per contro, il BTp ci garantisce sempre che la cedola frutterà fino alla data del disinvestimento, perché l’acquirente ci pagherebbe il rateo attivo maturato dall’ultima data di pagamento e non perderemmo neppure un giorno. Infine, il Bfp risulta al momento più conveniente del BTp di pari durata: interesse lordo dell’1% contro uno dello 0,82%. Allo stato attuale, i titoli di stato italiani rendono almeno l’1% (semplice, non composto) dalla scadenza dei 15 anni insù.
Buoni fruttiferi postali al 3% per i minorenni, ma attenti al giudice