Sono da sempre tra i prodotti di risparmio/investimento più amati dagli italiani. Parliamo dei buoni fruttiferi postali che hanno giocato nel passato un ruolo importante nella ricostruzione del paese.
Negli anni successivi, poi, l’offerta di tali titoli si è ampliata con diverse opzioni di investimento per rispondere alle diverse esigenze dei risparmiatori. Prima con gli interessi che si percepivano, però, era possibile davvero realizzare un sogno mentre adesso quei rendimenti sono solo un lontano miraggio anche se i tassi negli ultimi tempi sono tornati a crescere.
C’è una questione sui buoni fruttiferi postali che da tempo sta generando confusione per colpa delle varie pronunce differenti da parte dei giudici. Essa riguarda la validità della clausola di pari facoltà di rimborso “Cpfr”.
Cartacei e dematerializzati. Quale differenza?
Esistono buoni fruttiferi postali cartacei e dematerializzati. Nel primo caso si riceve un titolo cartaceo che va presentato all’ufficio postale per chiedere il rimborso anticipato o alla scadenza. C’è un obbligo da parte del sottoscrittore ovvero quello di conservare gelosamente tale buono che è nominativo e può essere emesso in tagli da 50 euro e multipli.
I secondi sono preferibili in quanto la sottoscrizione è rappresentata da una scrittura contabile che avviene sul conto di regolamento. Quest’ultimo può essere il libretto di risparmio postale o il conto corrente BancoPosta. La comodità è che non bisogna custodire il titolo cartaceo perché non viene rilasciato. Inoltre il rimborso avviene alla scadenza o in caso di rimborso anticipato sul conto di regolamento.
Quest’ultimo, quindi, deve avere la stessa intestazione del buono e non può essere estinto se ci sono titoli che ancora non sono scaduti. L’altro vantaggio di questa tipologia di buono è che non si rischia la prescrizione che avviene dopo 10 anni dalla scadenza del titolo a seguito della quale non si ha più diritto né alla restituzione del capitale investito e nemmeno degli interessi maturati.
Buoni fruttiferi postali: cos’è la clausola “Cpfr”, il rifiuto di Poste Italiane è legittimo?
La clausola Cpfr sui buoni fruttiferi postali significa con “pari facoltà di rimborso”. Significa che ciascuno degli intestatari può autonomamente chiedere il rimborso dei titoli presentando il buono cartaceo all’atto della richiesta.
Sulla validità di questa clausola c’è però molta confusione nel caso di decesso di uno dei due cointestatari. È successo, infatti, che Poste abbia negato al cointestatario in vita il rimborso chiedendo la quietanza degli eredi del de cuius. E proprio in merito a tale decisione ci sono state numerose sentenze in merito.
In ogni caso la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 4280 del 10 febbraio 2022 ha stabilito che se il bfp reca la clausola su indicata, in caso di morte di uno dei cointestatari, quello superstite può ricevere il rimborso dell’intera somma. In questo modo si è ribadito il principio di diritto già espresso in una precedente pronuncia di legittimità.
La Corte di Cassazione ha chiarito inoltre che ai buoni non si applica la stessa disciplina in materia dei libretti di risparmio. Tali titoli sono quindi pagabili a vista per cui prevale “l’immediata del documento rispetto all’esigenza di tutela nei confronti degli eredi del contitolare defunto”.
Riassumendo…
1. Da quando sono nati, i buoni fruttiferi postali rappresentano uno degli strumenti di investimento/risparmio preferiti dagli italiani
2. Per chi non lo sapesse la clausola Cpfr significa pari facoltà di rimborso. Vuol dire che ciascuno degli intestatari può chiedere autonomamente il rimborso dei titoli
3. Nel caso uno dei cointestatari muoia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione stabilisce che il superstite può ricevere il rimborso dell’intera somma.