Un lettore ci scrive per chiederci se la somma liquidata da Poste Italiane in relazione a un Buono fruttifero postale del 1991 sia corretta. Il capitale iniziale investito fu di 5 milioni di lire. Alla scadenza dei 30 anni, l’istituto ha corrisposto ai titolari la somma di 27.919,40 euro, già al netto della ritenuta fiscale di 3.626,41 euro e dell’imposta di bollo di 47,77 euro.
Per rispondere alla richiesta, dobbiamo considerare i tassi d’interesse offerti dal Buono fruttifero postale della serie Q. Essi sono:
- 8% per i primi 5 anni;
- 9% tra 6° e 10° anno;
- 10,5% tra 11° e 15° anno;
- 12% tra 16° e 20° anno;
- 12% tra 21° e 30° anno.
Ricordiamo che la capitalizzazione degli interessi è composta fino al ventesimo anno, semplice per l’ultimo decennio.
Buono fruttifero postale, il dilemma sulla ritenuta fiscale
Sottraendo anche i 47,77 euro dell’imposta di bollo, otteniamo che il Buono fruttifero postale alla scadenza sarebbe di:
37.288,90 – 4.338,33 – 47,77 = 32.902,80 euro. La cifra risulta essere di quasi 5.000 euro superiore a quella liquidata effettivamente da Poste Italiane. Perché? Come abbiamo spiegato in diversi articoli precedenti, Poste calcola gli interessi al netto dell’imposta del 12,5% anno per anno e non già alla scadenza. Può sembrare solamente una differenza tecnica, mentre ha implicazioni concrete come abbiamo visto. Poiché nei primi 20 anni di vita del Buono fruttifero postale gli interessi producono a loro volta interessi, il fatto che siano calcolati (stranamente) al netto comporta che la somma finale liquidata risulti più bassa.
Sul punto esiste una battaglia legale con Federconsumatori, la quale continua a sostenere la tesi secondo la quale gli interessi andrebbero calcolati al lordo dell’imposta fino alla scadenza.