Il calo in conto capitale dei BTp a lunga scadenza (1 settembre 2040) è legato al crescere dell’inflazione o all’aumento dello spread determinato dalle tensioni politiche all’interno del governo? La domanda che ci pone un nostro lettore riguarda, a dire il vero, un po’ tutti i titoli di stato italiani. Di certo, è vero che a subire le perdite maggiori negli ultimi mesi siano state le scadenze più lunghe. E ciò si spiega facilmente per via dell’alta “duration”.
Il BTp 1 settembre 2040 e cedola 5% (ISIN: IT0004532559) ha perso il 6,5% dai massimi di dicembre e oggi offre un rendimento lordo dell’1,26-7%.
Quando l’inflazione sale, i rendimenti seguono. Agli obbligazionisti interessa il rendimento reale di un bond, per cui tendono a pretendere rendimenti nominali crescenti con l’aumento dei prezzi al consumo. E poiché i prezzi dei bond si muovono in direzione opposta ai rendimenti, in questi mesi stanno scendendo. Da qui, il calo dei BTp, così come di tutte le altre obbligazioni sovrane e corporate sui mercati globali.
Calo dei BTp e spread
Ma è anche vero che nelle ultime settimane a crescere sia stato anche lo spread. Il lettore ha fatto bene ad accendere i fari su questo dato. E’ un fatto che lo spread BTp-Bund a 10 anni sia salito di una quindicina di punti in circa due mesi e mezzo. Ma se l’inflazione riguarda tutta l’Eurozona, perché i rendimenti italiani stanno salendo più velocemente di quelli tedeschi? Questo, in fondo, significa l’aumento dello spread.
In teoria, dovremmo aspettarci un restringimento dello spread. Sta accadendo, pur in misura non drammatica, il contrario. C’entrano le tensioni politiche a Roma? Al momento, no. Ai mercati interessa una e una cosa sola: Mario Draghi a Palazzo Chigi. Finché nessuno ne minaccerà la permanenza, i partiti potranno proseguire le indegne gazzarre a cui ci hanno abituati nei decenni. Gli stracci che volano dentro la maggioranza non interessano a nessun investitore fino a quando il governo Draghi è salvo. Dunque, il calo dei BTp deve essere ricondotto ad altro.
In realtà, c’entra sempre l’inflazione, ma da un’altra angolatura. La sua crescita spinge la BCE a mostrarsi più prudente circa il grado di accomodamento monetario nei prossimi mesi. Più sale e più probabile che gli acquisti con il PEPP vengano ridotti e meno lontano diventa il primo rialzo dei tassi, pur non da qui ad almeno 12-18 mesi. E una politica monetaria meno accomodante costituisce chiaramente un problema per gli stati indebitati come l’Italia. Per questo, gli investitori stanno scontando un maggiore rischio sovrano italiano. In un mese e mezzo, i cds sono lievitati da 69 a 83 punti. Piccoli movimenti, ma che lasciano intendere il trend.