L’inflazione nell’Area Euro è scesa al 9,2% su base annua a dicembre dal 10,1% di novembre. Il mercato si aspettava una discesa al 9,7%, per cui le cose sono andate meglio del previsto. E la Banca Centrale Europea (BCE) può iniziare a prendere fiato dopo avere già aumentato i tassi d’interesse del 2,50% nell’arco di cinque mesi. Se nel luglio scorso il costo del denaro risultava ancora azzerato, a dicembre era stato portato al 2,50%. Continuerà a salire, come promesso dallo stesso istituto, ma le prospettive iniziano a farsi meno ardue di quanto s’immaginasse fino a qualche settimana fa.
Euribor atteso giù dopo inflazione dicembre
Come possiamo notare, alla fine di dicembre il mercato si aspettava un Euribor a 3 mesi fino all’apice del 3,70% per il settembre prossimo. Adesso, si aspetta sempre che l’apice dei tassi sia toccato a settembre, ma a meno del 3,50%. Questo implica l’attesa di un rialzo dei tassi BCE dello 0,25% in meno rispetto a qualche settimana fa. Cos’è cambiato tra Natale e l’Epifania? Il calo dell’inflazione emerso per dicembre. Vuoi che la politica monetaria sin qui seguita da Francoforte starebbe funzionando, vuoi che i prezzi dell’energia stiano crescendo meno intensamente, il peggio sembra alle spalle.
Ciò non spegne le polemiche sull’operato della BCE. Da Francoforte trapela un certo fastidio per le critiche arrivate dall’Italia. Diversi esponenti del governo Meloni, tra cui il ministro della Difesa, Guido Crosetto, hanno attaccato la stretta sui tassi di Madame Christine Lagarde. Essi sostengono che così l’Italia rischi il collasso finanziario per via dell’eccessivo debito pubblico contratto in passato. Dagli ambienti dell’Eurotower, tuttavia, fanno sapere che gli attacchi sarebbero controproducenti.
Critiche su tassi BCE lecite, ma controproducenti
Le critiche non sono lesa maestà. Il discorso vale per qualsiasi organismo, figuriamoci per un policy maker. Il punto è che rischiano di rivelarsi un boomerang per chi le fa. E sono davvero sensate? I tassi BCE sono saliti al 2,50%. Tanto, se si considera che fossero a zero fino al luglio scorso. Tuttavia, l’inflazione nel frattempo è esplosa in tutta l’Area Euro. In Italia, ad esempio, è salita ai massimi dal 1983. A dicembre, era ancora all’11,6%. Questo significa che i tassi reali siano estremamente negativi nel nostro Paese. Anche un BTp a 10 anni con rendimento del 4,50% offre al momento meno del -7% in termini reali.
Certo, l’inflazione (si spera) scenderà, mentre i tassi alti rimarranno fino alle scadenze per i titoli di stato emessi in questa fase. Ma anche qui non bisogna esagerarne l’impatto. Non tutto il debito pubblico italiano dovrà essere rifinanziato nell’arco di pochi mesi, anzi in media arriva a scadenza dopo quasi 7 anni e mezzo. Pertanto, prima riusciamo a combattere l’inflazione, minore la quota di debito che dovremo rifinanziare a tassi alti. Come avete notato, è bastato un dato sull’inflazione inferiore alle attese per sgonfiare i rendimenti sovrani. Il decennale è passato dal 4,60% fino al 4,20%, qualcosa come -0,40% da qui alla scadenza. Su un miliardo, fanno -40 milioni.
Mercato arbitro
Il costo delle critiche può essere calcolato come il risultato di tassi BCE persistentemente alti per offrire al mercato certezze circa la reale volontà di combattere l’inflazione. Dalle parti del governo Meloni eccepiscono che questa politica avrebbe poco senso, in quanto l’inflazione sarebbe scaturita da un problema di offerta e non di domanda.
La BCE fa la sua parte alzando i tassi e drenando così liquidità dal mercato. I governi dovrebbero fare il resto riducendo gli aiuti a pioggia dell’era Covid. Nel frattempo, le strozzature dell’offerta stanno rientrando. Il mercato sarà il vero arbitro della partita. Se i tassi BCE salissero oltre il dovuto, lo segnalerebbero. Il vero potere di critica è nelle mani di chi gestisce il denaro. Ed è molto più efficace di quello verbale ostentato da ministri e capi di governo.