E’ stata una giornata molto negativa per le borse mondiali ieri. Ma se dobbiamo guardare al bicchiere mezzo pieno, non possiamo non notare il calo del petrolio (Brent) sotto la soglia dei 70 dollari al barile per la prima volta dallo scorso settembre. Rispetto ai massimi di metà gennaio, quando aveva chiuso sopra 82 dollari, un tracollo del 15%. Che è in buona sostanza anche il dato annuale, pur a fronte di un cambio euro-dollaro deprezzatosi nel frattempo del 3%.
Pesano cambiamenti geopolitici
Il calo del petrolio è arrivato dopo che l’OPEC+ ha annunciato a sorpresa l’aumento dell’offerta da aprile di 138.000 barili al giorno. Si tratta dell’organizzazione guidata dall’Arabia Saudita e che da anni collabora con membri esterni come la Russia. La mossa era inattesa, anche perché sconfessa la politica seguita dal cartello in questi anni. Tuttavia, agli attenti osservatori della geopolitica non sarà sfuggito che essa sia arrivata a seguito dell’avvio delle trattative di pace tra Stati Uniti e Russia sull’Ucraina a Riad.
Il regno del principe ereditario Mohammed bin Salman ha assunto nel negoziato una centralità innegabile e che lo ha indotto con ogni probabilità a ricambiare il favore al presidente Donald Trump. Questi è desideroso di vedere scendere il prezzo del carburante alla pompa per disinflazionare l’economia americana e ottenere tassi di interesse più bassi.
Il mercato sta scontando anche un allentamento delle sanzioni americane sul greggio russo. La Casa Bianca ci sta pensando come moneta di scambio per giungere a un negoziato rapido sulla guerra in Ucraina. La stessa Russia avrebbe acconsentito all’aumento dell’offerta come gesto distensivo verso Washington.
E Mosca si è detta pronta a mediare sull’Iran con l’amministrazione Trump, un altro fatto che contribuisce a distendere gli animi e a provocare il calo del petrolio in questa fase. Infine, i dazi americani stanno picconando le prospettive di crescita per l’economia mondiale. E sappiamo quanto la domanda di energia sia strettamente connessa ad essa.
Calo petrolio aiuta lotta all’inflazione
In definitiva, il calo del petrolio sotto 70 dollari non è casuale. E’ conseguenza del mutato contesto geopolitico, che vede gli Stati Uniti avvicinarsi a Russia e Arabia Saudita, rispettivamente primo e terzo produttore di greggio al mondo. Anche se in parte esso rispecchia i timori per l’andamento dell’economia, arriva nel momento giusto. Alle banche centrali serve la prospettiva di un’inflazione in discesa per potere proseguire con il taglio dei tassi. Lo stesso gas europeo è sceso nettamente dai massimi degli ultimi 2 anni toccati a febbraio, pur restando del 60% più caro su base annuale. Se il caro energia si sgonfia, il quadro diventa meno fosco per la crescita, dazi permettendo.