In un mondo del lavoro sempre più precario il cambiamento è all’ordine del giorno. Contratti a tempo determinato, perdita del posto di lavoro o semplice scelta di cambiamento generano un tasso di mobilità molto elevato. Ma cambiare lavoro spesso ha i suoi affetti anche sulla pensione.
La mancanza di una continuità contributiva potrà ritardare la maturazione dei requisiti per il pensionamento e inciderà anche sull’importo mensile della pensione stessa. Il problema non si pone se oggi si finisce un contratto di lavoro e domani si inizia uno nuovo.
In quest’ultimo caso si creano anni di vuoto contributivo. Ad ogni modo, il legislatore mette a disposizione degli strumenti per riempirli.
Gli scoperti contributivi
In dettaglio, sono due i principali problemi che si creano ai fini della pensione quando si decide o si è costretti a cambiare lavoro. Si possono creare i c.d. scoperti contributivi.
I buchi, come già detto, si creano quando dal vecchio al nuovo lavoro passa del tempo. Un soggetto licenziato oggi se trova un nuovo lavoro tra 2 anni, avrà scoperto due anni di anzianità contributiva. Questo buco ritarderà la pensione o, comunque, se maturerà i requisiti avrà una pensione più bassa rispetto a chi non ha anni scoperti.
Altro problema che si potrebbe avere è che i contributi versati negli anni confluiscano in gestioni previdenziali diverse. Si pensi, ad esempio, a chi prima era lavoratore dipendente e poi è diventato agente di commercio Enasarco. Oppure al lavoratore dipendente che dopo aver perso il lavoro, o che per sua scelta lascia il lavoro, poi apre partita IVA con iscrizione alla gestione INPS artigiani e commercianti.
Cambiare lavoro, come fare per tutelare la pensione
Quando a causa del cambiare lavoro si creano anni di scoperto contributivo, è possibile fare ricorso ad alcuni strumenti che permettono di tapparli.
Facciamo riferimento, ad esempio, ai c.d. contributi figurativi come gli anni del servizio militare, i periodi di NASPI, ecc. Si tratta di anni in cui il soggetto non ha lavorato come dipendente o partita IVA. Questi periodi possono essere accreditati ai fini pensionistici senza sborsare alcun onere.
Altro strumento diffuso è il riscatto della laurea. In sostanza, a chi ha fatto l’università e ha conseguito la laurea è permesso di pagare un onere per farsi accreditare ai fini della pensione gli anni dell’università (tranne quelli fuori corso).
Strada utile a cui molti ricorrono sono altresì i fondi pensione complementari. Praticamente si paga un fondo pensione privato che poi, al momento della pensione andrà a colmare le lacune del sistema pensionistico pubblico.
In merito alla casistica dei contributi finiti in gestioni previdenziali diverse, è necessario, invece, chiedere, a seconda dei casi, la c.d. ricongiunzione dei contributi o totalizzazione dei contributi. In questo modo, ai fini della pensione, si cumulano gli anni contributi accreditati in ciascuna gestione.
Riassumendo…
- il cambiare lavoro può avere i suoi effetti sulla futura pensione
- possono crearsi scoperti contributivi (colmabili con contributi figurativi o il riscatto di contributi volontario)
- possono crearsi problemi di accreditamento contributi in gestioni previdenziali diverse (risolvibili con l’istituto della ricongiunzione contributi o totalizzazione contributi).