Cambio euro-dollaro sotto 1,09 stamattina, toccando così i minimi da 2 anni e mezzo. Bisogna risalire all’aprile del 2017 per trovare un valore più basso. Allora, la moneta unica guadagnava terreno contro il biglietto verde sulle attese di una svolta politica francese favorevole all’unione monetaria, dopo i timori legati alla possibile vittoria dell’euro-scettica Marine Le Pen, nonché per effetto dell’accelerazione inattesa della crescita economica nell’area. Invece, quest’anno il cambio si è già deprezzato del 4,3% e su base annua perde il 12,2%.
I fattori di debolezza per la moneta unica sono molteplici. Per prima cosa, il rallentamento economico nell’Eurozona, con la Germania di fatto in recessione, l’Italia in stagnazione, la Spagna in lieve frenata e la sola Francia per il momento a reggere i colpi delle tensioni. Ciò si sta riflettendo in un accomodamento monetario ancora maggiore della BCE, che di recente ha varato nuovi stimoli, tra cui la riattivazione degli acquisti di assets dal mese prossimo con il cosiddetto “quantitative easing”. Vero è che la stessa Federal Reserve ha già tagliato i tassi due volte per complessivi 50 punti base, ma l’economia americana versa in condizioni molto migliori di quelle dell’Eurozona.
Quanto alle tensioni commerciali sui dazi, l’Eurozona ne risente più duramente per il semplice fatto di essere un’economia esportatrice, contrariamente agli USA, che sono importatori netti. Pertanto, la “guerra” in corso tra le due superpotenze mondiali colpisce l’area e deprime l’umore tra gli investitori, affievolendo anche il cambio. Per non parlare della Brexit, con lo scenario sempre più concreto di un’uscita senza accordo del Regno Unito dalla UE dalla fine di questo mese. Il premier Boris Johnson è intenzionato a dare attuazione al divorzio tra Londra e Bruxelles in qualsiasi caso, sebbene la sconfitta davanti alla Corte Suprema sulla chiusura del Parlamento abbia rinvigorito le probabilità di una ennesima proroga per evitare che la separazione avvenga come un salto nel buio.
Perché il cambio euro-dollaro adesso punta a scendere sotto 1,10
Prospettive a breve per il cambio euro-dollaro
In generale, i rischi percepiti per l’economia e di tipo geopolitico spingono il mercato a premiare il dollaro, che è risalito specularmente in media contro le altre valute principali ai massimi da 30 mesi, guadagnando quest’anno il 4%. E le prospettive a breve? A nostro avviso, due sarebbero i fattori che imprimerebbero una svolta rialzista al cross: Brexit e petrolio. Nel primo caso, parliamo dello scenario di un’uscita del Regno Unito dalla UE con un accordo in tasca tra le parti, magari a seguito di una proroga concessa (e accettata dal governo di Sua Maestà, obtorto collo) da Bruxelles a Londra sui termini per trovare un’intesa, ad oggi fissati al 31 ottobre. In quel caso, sia l’euro che la sterlina tornerebbero a rifiatare contro il dollaro.
Quanto al petrolio, l’eventuale surriscaldamento delle quotazioni internazionali, magari sull’inasprimento delle tensioni tra Iran e Arabia Saudita, genererebbe aspettative d’inflazione più elevate presso le economie importatrici e impatterebbe nell’immediato al rialzo sui pressi al consumo. Ciò varrebbe per USA, Europa e Giappone, in particolare, ma a differenza della Fed, BCE e Banca del Giappone attuano da anni un accomodamento monetario molto spinto e che non potrebbe essere mantenuto con un improvviso rialzo veloce dei tassi d’inflazione.
In un certo senso, se il governatore Jerome Powell avrebbe modo di limare ancora un po’ i tassi USA o almeno di non alzarli, lo stesso non si direbbe nell’Eurozona, dove Christine Lagarde sarebbe costretta o ad avvicinare i tempi di una stretta sui tassi o a chiudere i rubinetti della liquidità prima delle attese.
Cambio euro-dollaro verso 1,20 con il petrolio a meno di 60 dollari al barile?