Il cambio euro-dollaro si sta allontanando sempre più dalla soglia psicologica di 1,20, sotto la quale giace ormai dagli inizi di marzo. Rispetto ai massimi dell’anno toccati il 6 gennaio scorso, perde più del 4%, sceso in area 1,18. Certo, la ripresa dai minimi sin dal 2017 registrati a metà marzo dello scorso anno c’è stata tutta. Allora, il cross era sprofondato sotto 1,07 sul panico dipanatosi sui mercati per l’irruzione della pandemia in Occidente. Alla base dell’inversione di tendenza stanno concorrendo diverse cause.
In primis, il dollaro è per sua natura un “safe asset”, per cui tende a rafforzarsi nelle fasi critiche per l’economia del pianeta o quando emergono tensioni geopolitiche. Nell’ultima settimana, la crisi turca sta contribuendo a irrobustire un trend di fondo già favorevole al biglietto verde. Il presidente Erdogan ha licenziato il terzo governatore da luglio 2019 e dopo soli quattro mesi e mezzo dal suo insediamento, indisponendo i mercati. I capitali stanno fuggendo a gambe levate da Ankara, con la lira turca ad essersi deprezzata del 10% e i rendimenti sovrani ad essere letteralmente esplosi.
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Dicevamo, però, che già il trend di sottofondo era positivo per il dollaro. In effetti, il deprezzamento dell’euro è stato contestuale all’iter di approvazione del maxi-piano di stimoli fiscali da 1.900 miliardi negli USA. L’amministrazione Biden ha ottenuto nelle scorse settimane il via libera del Congresso, potendo così sostenere famiglie e imprese con aiuti immediati per 1.400 miliardi, i quali si sommano ai 3.000 miliardi già stanziati dalla precedente amministrazione Trump e ai 3.500 miliardi di liquidità iniettata dalla Federal Reserve nell’ultimo anno.
I fattori ripresa e vaccinazioni
Per quanto anche l’Eurozona abbia varato stavolta un mix di stimoli monetari e fiscali più potente di quello durante la crisi finanziaria del 2008-’09, ancora una volta l’America sta facendo più e meglio.
Grazie alle migliorate prospettive economiche, gli investitori da mesi vendono bond americani per buttarsi in borsa. E così, il rendimento del Treasury a 10 anni è salito dallo 0,90% di inizio anno a più dell’1,60% attuale. Il rialzo dei rendimenti sovrani e, in misura minore, corporate attira capitali dal resto del mondo, laddove i rendimenti nell’Eurozona, per quanto anch’essi in ripresa, restano perlopiù negativi o prossimi allo zero anche sulle scadenze lunghissime.
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Peraltro, la FED ha fatto presente che tollererà il rialzo dei rendimenti fino a quando non comprometteranno la ripresa dell’economia americana e fatto salvo che non ci sarà verosimilmente alcun rialzo dei tassi fino al 2023. Al contrario, la BCE ha lanciato diversi moniti con il cambio euro-dollaro sopra 1,20, avvertendo di monitorarne l’evoluzione per preservare il target d’inflazione e la ripresa dell’economia nell’unione monetaria. E ancora: la FED non vuole sentirne di tagliare i tassi sottozero, per cui conferma la sua posizione contraria all’adozione dei tassi negativi, ponendo un limite alle proprie misure di politica monetaria. Invece, la BCE ha annunciato che accelererà gli acquisti dei bond, pur non impegnandosi né ad implementare il PEPP da 1.850 miliardi per intero, né ad espanderlo ulteriormente.