Mentre tutto il mondo attende quasi spasmodicamente di capire quando la Federal Reserve alzerà i tassi USA per la prima volta dal 2006, in molti s’interrogano sugli effetti che tale svolta monetaria potrebbe avere sul mercato dei cambi. Il dollaro si rafforzerà ancora? E di quanto? Il biglietto verde si è rafforzato di oltre il 20% negli ultimi 12 mesi contro le principali 16 valute del pianeta, del 6,8% dall’inizio dell’anno. A questo punto, verrebbe da chiederci se il mercato abbia già scontato gli effetti di una stretta monetaria in America o se vi sia ancora spazio per un ulteriore apprezzamento del dollaro e, se sì, in quale percentuale.
Stretta USA del 2004-2006 ci fornisce un esito paradossale
Per cercare di farci un’idea su quello che potrebbe accadere, esaminiamo l’andamento del dollaro prima e durante l’ultimo ciclo restrittivo dei tassi, iniziato nella metà del 2004 e concluso nel giugno del 2006. Essi furono innalzati dall’1% al 5,5%, attraverso 17 aumenti consecutivi di 25 punti base. Allora, nell’anno precedente all’avvio della stretta, il dollaro aveva perso mediamente il 5% contro le principali valute. Ciò che appare più curioso è che nei 6 mesi successivi, anziché consolidarsi, il biglietto verde segna un ulteriore calo del 7,2%, salvo risalire del 9% nel semestre successivo, portandosi ai livelli di avvio della stretta e che saranno mantenuti, tra alti e bassi, fino alla fine del ciclo rialzista, al termine del quale il dollaro varrà mediamente l’1,2% in meno di 2 anni prima. E’ probabile che sull’apparente paradosso abbia influito il consolidamento sui mercati dei cambi dell’euro, nato qualche anno prima e che passa da un cambio di 1,14 del 30 giugno 2003 a uno di 1,2155 di un anno dopo e per arrivare a 1,27 al termine della stretta monetaria USA. Un apprezzamento dell’11% per la moneta unica, che ha pesato non poco sul cambio ponderato del dollaro, trattandosi della seconda divisa più tradata al mondo.
Super-dollaro poco probabile
Stavolta, le politiche monetarie di Fed e BCE sono sostanzialmente accomodanti entrambe, ma la prima va verso l’adozione di un ciclo restrittivo, che la BCE non prenderà nemmeno in considerazione fino alla fine dell’anno prossimo. Il governatore Janet Yellen ha già ribadito in più occasioni che non necessariamente saranno ripercossi i passi e i ritmi della stretta del 2004-2006, perché stavolta potrebbe essere meno veloce. Quindi, ipotizzando che l’istituto inizi ad alzare i tassi dal prossimo settembre e che successivamente li accresca ogni 2 incontri, da qui alla fine del 2016, considerando aumenti dello 0,25% ciascuno, i tassi USA potrebbe attestarsi sotto il 2%, mentre quelli dell’Eurozona rimarrebbero ancora allo 0,05%. E’ credibile che il cambio euro-dollaro si affievolisca verso la parità, come alcuni analisti avevano previsto all’inizio dell’anno, a fronte di un differenziale così poco ampio, già grosso modo scontato dal mercato e quando la storia recente ci insegna che le cose sono andate diversamente negli anni scorsi? Tutto può succedere, uscendo da una prolungata fase straordinaria di accomodamento monetario e di stimoli senza precedenti.