Il cambio euro-dollaro è sceso questa settimana ai livelli minimi toccati dal luglio 2020. Mentre scriviamo, il cross si aggira sotto 1,1540 e perde circa il 5,5% quest’anno. Il 2021 era iniziato sopra 1,22, ma nelle ultime settimane diverse notizie hanno concorso a indebolire la moneta unica e a rafforzare contestualmente il biglietto verde.
Diciamo, anzitutto, che il calo del cambio euro-dollaro è dettato dalla paura. Di cosa? Che le strozzature dell’offerta, note anche come “colli di bottiglia”, possano prima o poi portare alla paralisi di interi comparti della produzione.
Divergenza monetaria e cambio euro-dollaro
Ma c’è anche un altro fattore a colpire il cambio euro-dollaro: l’inflazione. Negli USA, è salita sopra il 5%, nell’Eurozona sopra il 3% e in Germania sopra il 4%. Livelli insostenibili alla lunga. Tant’è che la Federal Reserve ha già prospettato l’avvio del “tapering”, cioè la riduzione degli acquisti di bond, nonché il rialzo dei tassi USA prima delle precedenti previsioni. Un ritocco del costo del denaro avverrebbe forse nel corso del 2022. La BCE ha sinora tenuto lontano questo scenario, semmai aprendo a un “moderato” rallentamento negli acquisti di bond con il PEPP.
L’indice ISM dei servizi negli USA a settembre ha battuto le stime, salendo a 61,9 punti e segnalando un’ulteriore pressione al rialzo dei prezzi nel settore terziario. I posti di lavoro creati a settembre, poi, sono risultati 568.000, meglio delle attese e il livello massimo da tre mesi. E anche le lunghe trattative per la formazione del nuovo governo in Germania non danno di certo una mano alla moneta unica.
Dunque, la divergenza monetaria tra FED e BCE indebolisce il cambio euro-dollaro. Potrebbe non essere finita. In primis, perché non è scontato che non vi sarà una nuova ondata di contagi da Covid, con annessa fuga dei capitali verso i porti sicuri. Secondariamente, perché l’America annuncerebbe il taglio degli acquisti dei bond già prima di Natale. Per l’Eurozona, una brutta notizia. Un euro debole accelera il tasso d’inflazione, aumentando il costo dei beni importati. I consumatori perdono ancora più potere d’acquisto e la BCE si troverà prima o poi costretta a ridurre gli stimoli monetari più in fretta, pur non necessariamente con un’economia in condizioni solide.