Un cambio euro-dollaro così alto non si era visto da prima di Ferragosto. Ieri mattina, risaliva in area 1,0250. E’ bastata quella che potremmo definire una non notizia a far scattare la moneta unica. Negli Stati Uniti, l’inflazione è scesa ad ottobre al 7,7%. Era all’8,2% a settembre. Poiché le previsioni puntavano a una discesa all’8%, il mercato ha reagito con acquisti in borsa e sui mercati dei bond. E il dollaro ripiegava vistosamente contro le principali valute mondiali, perdendo in una sola seduta il 2,15%, mai così tanto in era Covid.
Una settimana prima, era accaduto qualcosa di simile alla pubblicazione dei dati sull’occupazione americana. Numeri ottimi, ma è bastata una timida risalita del tasso di disoccupazione a galvanizzare i mercati. Dollaro giù e borse su. Perché nel mondo della finanza, specie nell’ultimo decennio, “bad news is good news” e viceversa. E il cambio euro-dollaro tende ormai a risalire ogni volta che le cattive notizie per l’economia americana mettono in ombra i guai dell’Eurozona.
Nel caso specifico, non si è trattato di una cattiva notizia. Anzi, finalmente sembra che l’inflazione americana inizi a scendere dopo che la Federal Reserve ha alzato quest’anno i tassi d’interesse del 3,75% al 4%. La discesa segnala che i futuri rialzi potranno essere inferiori a quelli già scontati dal mercato. Nel frattempo, la BCE non ha alcuna ragione per rallentare la sua stretta monetaria. L’inflazione nell’Eurozona continua a salire, portandosi al 10,7% di ottobre.
Cambio euro-dollaro, ragioni della risalita
Dunque, la divergenza monetaria tra FED e BCE si starebbe riducendo. Il cambio euro-dollaro risale per la prospettiva di una differenza minore tra tassi FED e tassi BCE. A dire il vero, però, per il momento le scommesse degli investitori restano sostanzialmente invariate: negli USA i tassi sono attesi al picco del 5,25% entro marzo 2023, nell’Eurozona al 3% entro settembre 2023.
In realtà, anche l’esito delle elezioni di medio termine sta contribuendo al rafforzamento del cambio euro-dollaro. I repubblicani hanno conquistato, pur di misura, la Camera dei Rappresentanti. Il Senato resta in bilico fino al ballottaggio di dicembre in Georgia per l’assegnazione di un seggio. La prospettiva di uno stallo istituzionale paradossalmente piace ai mercati. Improbabili ulteriori e robusti stimoli fiscali a sostegno dell’economia americana, almeno nel breve termine. Per questo la FED dovrà ponderare con maggiore attenzione le sue mosse e, soprattutto, verrebbe meno una fonte principale di alimentazione dell’inflazione: il deficit.
Ma la risalita del cambio euro-dollaro non deve considerarsi un viaggio con biglietto di sola andata. Anche l’Eurozona rischia la recessione per via della crisi energetica. Il rialzo dei tassi BCE agisce su un’economia più debole di quella americana. La produzione industriale e, in particolare, la manifattura stanno cedendo il passo. I segnali di deterioramento ci sono tutti. E se questo non può ancora impedire a Francoforte di combattere l’inflazione a colpi di aumento dei tassi, d’altra parte ne pregiudica le azioni future. Infine, se l’economia americana cadesse in recessione, sarebbe come pensare che Sparta possa ridere mentre Atene piange.